Elly Schlein e i capibastone e cacicchi della Campania

Quando la nuova segretaria, scusate il bisticcio, del nuovo Pd, Elly Schlein, gridò rabbiosa: “Basta con i capibastone e con i cacicchi!”, la domanda corale e ancorché in sordina fu: “Ma con chi ce l’ha?”. Sabato si è capito oltre ogni ragionevole dubbio con chi ce l’avesse. Ce l’ha con De Luca, il presidente della Regione Campania, da circa due anni al secondo mandato, dopo essere stato rieletto con ben il 70 per cento dei consensi, a dispetto del vistoso arretramento del Pd in diverse altre Regioni.
Sabato la nuova segretaria del nuovo Pd ha commissariato il partito in Campania. Ed è stata lei stessa ad annunciarlo, a Modena durante la festa del “Domani” di De Benedetti, anticipando di qualche ora il comunicato ufficiale del Nazareno. Nel suo intervento dal palco, riferendosi esplicitamente al commissariamento del Pd campano (Antonio Misiani) e di Caserta (Susanna Camusso), Elly Schlein ha detto: “Io non so se avrà un costo (il commissariamento, ndr), e di che tipo: avrebbe un costo molto maggiore non essere conseguenti alla promessa di trasparenza, di ricostruzione e di rispetto delle regole…Avevamo denunciato delle situazioni opache, con pacchetti di tessere, capibastone o persone che si sentono padroni delle tessere: non voglio che questo dia l’impressione che abbiamo un problema generalizzato…”.
Chiaro, no? La crisi generale del Pd da quando è nato ad oggi, l’immagine e la sostanza del Pd dei pacchetti di tessere, dei capibastone o dei padroni delle tessere (i cacicchi): l’origine e la continuazione dei mali Pd, insomma, secondo l’analisi della Schlein sono tutta roba concentrata in Campania. Ergo, questa roba porta a concludere che è De Luca il capo dei capibastone, mentre i cacicchi sono i suoi fedelissimi sparsi nelle cinque province della Regione. Ergo (ancora), quel 70 per cento di consensi conquistato da De Luca alle scorse regionali o è un voto sporco, oppure è il voto di elettori che non sanno quello che fanno, poco importa se si tratta di elettori che votando De Luca hanno votato Pd. Troppo semplice. Stessero così le cose, basterebbe espellere De Luca dal Pd (ma con quale seria motivazione? E perché De Luca sì e non anche Franceschini, Orlando, Zingaretti, Bonaccini, Emiliano e compagnia cantando fino ai giovani turchi ormai diventati vecchi o giù di lì?) e il problema sarebbe risolto.
La riprova che la nuova segretaria del nuovo Pd reputa De Luca l’origine dei mali del Partito Democratico è nei nomi stessi del commissario regionale e della commissaria di Caserta. Antonio Misiani è nemico giurato di De Luca, come lo è il suo referente o capocorrente (e perché mai non anch’egli capobastone?) Andrea Orlando, secondo sponsor di rilievo della Schlein dopo Franceschini. Dal canto suo, l’ex segretaria della Cgil Susanna Camusso, per dirla con il Sommo poeta, ha sempre avuto De Luca “in gran dispitto”: arrivava a Napoli da leader Cgil e diceva che De Luca era un pessimo soggetto politico per definizione. Proprio come usano fare gli ex Pci, con la loro insopportabile spocchia, nei confronti degli avversari politici. Ma in questo caso dimenticando, la Camusso, che De Luca proviene dalla Cgil e dal Pci. E dimenticando, soprattutto, che quando c’erano “quella” Cgil e “quel” Pci, De Luca era considerato uno dei “compagni” più intelligenti, culturalmente più attrezzati e più impegnati sui campi di battaglia “veri”, non già nelle comode passerelle cialtrone dei tempi che oggi viviamo.
Insomma, Misiani e Camusso sono due scelte della Schlein convergenti e mirate allo stesso obiettivo: avviare il processo di logoramento del governatore fino alla sua giubilazione istituzionale e politica (ammesso che gli attuali leader siano in grado di portare a termine un disegno così ardimentoso, in Campania come altrove, senza ridurre il Pd all’osso).
Anche la provenienza geografica dei due “purificatori” del nuovo Pd sembra rispondere ad una logica da guerra santa, o di caccia agli stregoni, scegliete voi. Misiani e Camusso, infatti, sono tutt’e lombardi. Una casualità, certo. Ma nel clima avvelenato che si respira dentro il Pd, non è mancato chi ha voluto interpretare la scelta della Schlein come una sottolineatura del presunto “candore” politico della razza meneghina rispetto al presunto sudiciume della razza campana. È un peccato originale della leader? Assolutamente no. Così gliel’hanno raccontata la Campania, soprattutto gli avversari di De Luca lombardo-veneti e napoletani e salernitani, e così – pedissequamente – ella, cioè Elly, ha prima interiorizzato e poi metabolizzato l’immagine di un Pd popolato di capibastone e di cacicchi capaci soltanto di rubare giorni al Padreterno e sangue al Partito Democratico: un inferno politico rispetto al paradiso terrestre del Pd del Centro-Nord e del resto del Mezzogiorno d’Italia.
Invero, a voler essere rigorosi e spigolosi, un po’ a somiglianza della leader dem, alla Schlein andrebbe ricordato che, alle scorse elezioni politiche, chi andò a rifugiarsi da capolista in un comodo e sicuro collegio plurinominale Camera della Campania fu proprio il suo principale sponsor per la segreteria nazionale, ossia Dario Franceschini. E andrebbe ricordato che la stessa buona sorte, capolista plurinominale Senato, toccò alla esordiente Susanna Camusso. Che è la stessa Camusso, non una sosia o una omonima, ora nominata commissaria del Pd di Caserta, cioè di un altro pezzo di territorio campano infestato, nella versione Schlein, di capibastone e cacicchi, vale a dire dei medesimi Signori che hanno contribuito in misura determinante alla elezione della ex leader nazionale Cgil nel collegio proporzionale ultrasicuro, sempre grazie a quei “Signori”, di Campania 02.
E, allora, come la mettiamo? I capibastone e i cacicchi sono buoni e preziosi quando portano in Parlamento candidati che diversamente sarebbero rimasti a casa a fare i pensionati, e diventano invece brutti e cattivi quando si tratta di fare la (finta) Rivoluzione nel Pd?
C’è qualcosa che non torna nel ragionamento della Schlein sull’etica politica da restituire al Pd. C’è qualcosa di stonato nel suo refrain “di promessa di trasparenza, di ricostruzione e di rispetto delle regole”. Non è utilizzando due pesi e due misure rispetto ai protagonisti della stessa scena che si dà un buon spettacolo. Non è con l’ipocrisia moralistica evidente o malcelata che si fa buona politica. Non è con queste maschere che si fanno le rivoluzioni. E non è così che si rimette in corsa il Partito Democratico in un contesto politico, istituzionale e sociale decisamente complesso come quello attuale.
D’altra parte, è la stessa Schlein ad avvertire il pericolo di un probabile “costo” del percorso intrapreso. Diciamola tutta: il costo non probabile ma certo è che, continuando con il passo di questo arbitrario manicheismo, il nuovo Pd della nuova segretaria nazionale consegnerà la Campania al centrodestra. E non sarà certo un “Fico” secco della dispensa di Elly Schlein ad evitare questa prospettiva per l’area progressista.

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