In ricordo di Peppino Pisano

 

Sono passati 25 anni, un quarto di secolo. Sembra ieri, quella mattina del 28 marzo 1998. Non era ancora spuntata l’alba quando squillò il telefono. La voce straziata di Filomena Labruna, un’amica e collaboratrice della redazione avellinese de “Il Mattino”, mi comunicò la notizia: “Il Professore Pisano è morto”. “Filomena, cosa dici? Come, quando?”. “Un infarto, durante la notte”. “Il tempo di vestirmi e scappo ad Avellino”.

Abitavo a Passo di Mirabella. In quegli anni ero il capo della redazione irpina del quotidiano nel quale lavoravo dal 1976. Ero stato vice di Peppino per lungo tempo. Poi una pausa per dirigere la redazione di Salerno, quindi di nuovo ad Avellino, quando lui lasciò il giornale da pensionato e toccò a me prendere il suo posto per scelta dell’allora direttore Paolo Graldi.
Incredibile, assurda la sua scomparsa. Peppino non aveva mai smesso di lavorare. Dopo Il Mattino era andato a dirigere Irpinia Tv. Non era nuovo in televisione. Ma da direttore diede il meglio di sé. La sua nota quotidiana – asciutta, incisiva, inappellabile per chiarezza e rigore del contenuto – diventò uno “stile” invidiabile di giornalismo in video. Perché il professore, anzi l’ex preside, oltre ad essere un intellettuale di rara finezza culturale, era naturalmente coinvolgente, empatico. Il suo modo di parlare, nonostante l’accento marcatamente avellinese, lo rendeva simpatico, soprattutto credibile, affidabile: come aperta e rassicurante era (sempre) l’espressione del viso, innocenti e sinceri gli occhi, fedelissimo specchio della sua anima pura.
Bravissimo in video, ma eccellente – impareggiabile, a mio parere – dietro la macchina da scrivere. Nella scrittura Peppino aveva un linguaggio geniale, frutto di dote naturale e, insieme, d’una cultura immensa. I suoi resoconti delle partite di calcio – lui amava il giornalismo sportivo – erano capolavori letterari. Disdegnava le citazioni: le riteneva inutili sfoggi culturali, ostentazioni del nulla, incapacità di creare. Lui scriveva creando armonia, musicalità. I fogli A4 infilati lungo il rullo della Olivetti ne uscivano “spartiti” d’autore: mai una nota sbagliata, pause infallibilmente al posto giusto, niente aggettivazioni superflue, una straordinaria capacità di adeguare linguaggio, tono e ritmo alla fattispecie dell’argomento trattato. Perché Pisano era straordinariamente ferrato su tutto, e di tutto poteva scrivere con la medesima sapienza e coscienza: sport, politica, economia, cultura, nera e giudiziaria, costumi e spettacoli.
Spesso, dopo aver letto un suo pezzo, gli dicevo che se fosse nato in Lombardia, magari proprio dalle parti di Bergamo, avrebbe fatto dire di sé ch’era un clone di Gianni Brera. Lui si schermiva, replicava con un “Frà, non sfottere!”. Ma io non sfottevo affatto. Tutt’altro. E lui lo sapeva. Tuttavia si schermiva perché Peppino non era soltanto un Signor Giornalista, un’Eccellenza Culturale, un Intellettuale con la I maiuscola e di rara Onestà. Egli era anche – anche inclusivo, non aggiuntivo – una Persona Umile, Buona, Generosa, Altruista, Leale, Seria. Era Uno di cui non potevi non essere amico se lo conoscevi appena un po’, e se il tuo animo era sgombro da invidie professionali.
Io non invidiavo Peppino. Per due ragioni, l’una più semplice dell’altra. La prima è nel Dna: non riesco a provare invidia per nessuno. La seconda è di consapevolezza e coscienza: ho sempre riconosciuto, dentro di me e pubblicamente, la superiorità culturale e professionale dei miei due Maestri di giornalismo: Nacchettino Aurigemma e Peppino Pisano. Insomma, ho risolto il problema all’origine. Anche per questo, ho di tutt’e due un ricordo bellissimo, che me li fa rivivere nel pensiero, ogni giorno, con immenso affetto ed eguale gratitudine.

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