Se il nuovo Pd non scende da cavallo…

Ieri, al centro congresso La Nuvola di Roma, l’assemblea del Partito Democratico ha proclamato Elly Schlein segretaria nazionale. Al perdente Stefano Bonaccini è andata per acclamazione la carica di presidente, una “cosa” che di fatto serve poco quanto niente, tanto più se si consideri che il governatore dell’Emilia Romagna ha già detto chiaro e tondo che non intende rinunciare a nessun punto della sua mozione. In altri termini, al di là dei convenevoli, il Pd resta uno e doppio, se non proprio trino, visto che Articolo 1 di Speranza, Scotto, Bersani, D’Alema e altri ha chiuso bottega ed è sostanzialmente già tornato alla casa madre.
È proprio quest’ultima, del resto, la novità importante e allo stesso tempo (per il Pd) allarmante. I figliuoli prodighi Speranza e succitati Compagni erano scappati di casa sbattendo la porta per l’insanabile conflitto aperto all’epoca con Matteo Renzi. Oggi spiegano il ritorno dicendo che il Pd non è più quello di Renzi. Non sfugge, tuttavia, che dopo Renzi il partito è stato guidato prima da Zingaretti e poi da Letta, due personalità lontane anni luce dal renzismo e che hanno interpretato dignitosamente la necessità di equilibrio tra le diverse sensibilità del Pd.
Insomma, se gli scissionisti rientrano nel Pd soltanto ora deve esserci qualche ragione più sostanziosa e meno di facciata, comunque una motivazione ben diversa da quella che vorrebbero far credere. È assai probabile, ad esempio, che Speranza e Compagni abbiano colto a volo l’occasione dell’abbandono di Letta (e delle politiche del 25 settembre scorso) per prendere atto, pur senza ammetterlo, della loro irrilevanza numerica e restare in gioco sotto il tetto della vecchia casa appena ristrutturata.
D’altra parte, è difficile immaginare che i protagonisti di Articolo 1 siano rimasti folgorati dalla semplice apparizione della Schlein sulla strada che li ha riportati nel Pd. Si tratta di professionisti della politica, non di dilettanti allo sbaraglio: sarebbero rientrati anche se avesse vinto Bonaccini, come peraltro era apparso chiarissimo quando i sondaggi, condivisi da tutti gli analisti politici, nessuno escluso, davano per certa la vitoria del governatore dell’Emilia Romagna. Detta diversamente, con i numeri elettorali assai poveri che Articolo 1 era stato in grado di consolidare, per Speranza e Compagni delle due: o tornavano a casa Pd o sarebbero stati costretti dagli eventi a tornare definitivamente a casa propria, ovvero stop con la politica.
Novità importante il rientro degli scissionisti nella loro comunità originaria, si diceva, ma allo stesso tempo novità “allarmante” per la ricomposizione degli equilibri interni al Pd, condizione “sine qua non” che può mettere al riparo dal rischio di fuga di una fetta consistente del partito verso altri lidi, non certo di sinistra, come proprio ieri ha lasciato intendere Graziano Delrio (rivolto alla Schlein: “I cattolici del Pd sono preoccupati: rispetti tutte le sensibilità”).
La preoccupazione (leggi pure “l’allarme”) è che il rientro di Articolo 1 rafforzi l’area del nuovo Pd già abbondantemente orientata verso la “radicalità” dell’azione politica, emarginando così la presenza dei cattolici democratici e più in generale dei moderati.
È un timore fondato? Potranno convivere anime così diverse, quasi contrapposte, tanto più in una fase congiunturale molto delicata e complessa che lascia indovinare l’inasprimento della lotta politica e delle tensioni sociali?
La storia più o meno recente dei rapporti tra i partiti di centro-sinistra (oppure, indifferentemente, di sinistra-centro) suggerisce che sì, certo, cominceranno a convivere, magari stimolati da ottime intenzioni, sincero entusiasmo e grandi progetti. Magari vivranno la nuova esperienza d’amore e d’accordo per i primi sei mesi, forse un anno, tenuti uniti e in trincea da sentimenti di fratellanza politica tutta orientata a liberare preventivamente l’Italia dal rischio assai improbabile, diremmo decisamente impossibile, di un nuovo nazifascismo (un po’ sullo stile di Putin, il quale per giustificare la sua brutale e immotivata invasione dell’Ucraina, ha fatto finta di vedere nazifascisti ovunque e pronti a mangiarsi la Grande, Amata Russia). Magari, ancora, l’appuntamento elettorale delle Europee farà da amalgama anche tra diversissimi per guadagnare insieme qualche seggio in più. Ma poi? Cosa accadrà, ad esempio, quando un D’Alema, per dire uno di quelli della vecchia e nuova “radicalità” che ha intelligenza e carisma politico, un virtuale D’Alema paradigma della presunzione di Superiorità della Sinistra, ricomincerà a giocare con il dogma della Infallibilità nonostante tutti i fallimenti inanellati da “quella” Sinistra in Italia?
Insomma, e in conclusione, c’è davvero qualcuno disposto a scommettere che un Pd con l’asse interamente spostato a Sinistra, Schlein o non SchleIn, come di fatto sta accadendo, sia la soluzione vincente per battere la destra e soprattutto, ciò che più interessa, per garantire al Paese un governo in grado di vincere le Grandi Sfide imposte dal tempo in cui viviamo?
Nutrire qualche dubbio in più e un po’ di certezze in meno potrebbe aiutare, forse, a scendere dal cavallo del “Complesso di Superiorità” del nuovo Pd radical-chic, e a guardare la realtà con il sano pragmatismo che sempre serve in situazioni di sicura complessità.

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