“Caffè sospeso”
Mi definisco con orgoglio una meridionale doc, insomma una terrona convinta.
In quanto campana di adozione e di origini, sento di avere un’anima irpina ma, in una accezione più ampia, anche napoletana.
Per me essere meridionale non costituisce assolutamente una diminutio, rappresenta piuttosto capacità di resilienza e anche di ottimismo, nonostante la presenza di problemi quotidiani.
Eppure ho incontrato nel tempo troppe persone, spesso conterranee, abituate a disprezzare la nostra terra, perché ritenuta priva di qualsiasi attrattiva e di una dinamica vita sociale e culturale rispetto alle metropoli; persone che di conseguenza hanno sempre manifestato il desiderio di andare via da qui, cosa che in genere ho interpretato però come un desiderio di fuga da se stessi, perchè, diversamente e, comunque, con un pizzico di equilibrio e di sano attaccamento ai propri luoghi, è possibile forse vivere al meglio ovunque, nelle grandi come nelle piccole città, peraltro anche contribuendo personalmente, ciascuno nel proprio piccolo ambito, a migliorarle e a creare delle occasioni di crescita per sé e per la comunità.
In fondo, al di là delle specifiche criticità oggettivamente esistenti, qui da noi, come del resto dappertutto, il Sud non è semplicemente sinonimo di delinquenza, di traffico selvaggio, di inosservanza di regole, perché, accanto a tutto ciò, esso è soprattutto sinonimo di ricchezza storica e culturale, di teatro, monumenti, musica nell’aria, di calore e di tanta solarità come mai altrove.
Non c’è da stupirsi dunque se, a proposito di un DNA particolarmente generoso e solare, la prassi del cd. “caffè sospeso”, ovvero di pagare la consumazione di un caffè in più per uno sconosciuto che non possa permetterselo, sia nata proprio a Napoli, perché si dice che “quando qualcuno è felice a Napoli, paga due caffè: uno per se stesso ed uno per qualcun altro. E’ come offrire un caffè al resto del mondo”.
Ebbene, questa fantastica “napoletanità” mi è venuta in mente stamattina in un ambito di certo non attinente, e cioè in particolare mentre riflettevo sulla dolorosa notizia appresa a proposito di una signora di 58 anni che, per un grave incidente di qualche giorno fa, mentre era a bordo dell’auto condotta dal figlio, si trova ora ricoverata in rianimazione, sospesa tra la vita e la morte.
Così, immaginando la gravità della tragedia, anche in considerazione del presumibile stato d’animo del ragazzo, ho avvertito forte l’istinto di pregare in silenzio per questa signora. Pur non conoscendola e non sapendo neppure il suo nome, ho sentito il bisogno cioè di lasciare nell’etere una “preghiera sospesa”, di invocare un miracolo che servirebbe, in questo caso, a salvare due vite, cioè ancor più quella del figlio, condannato altrimenti a convivere con un tormento difficilmente sopportabile nel tempo.
D’altra parte, però, la mia invocazione da sola si sperderebbe in un cielo così grande, e allora sarebbe bene che un po’ tutti risvegliassero in sé questo magico spirito napoletano che, nella sua unicità, sa renderci disponibili, generosi, presenti per gli altri nelle gioie e nei dolori , e che così nel nome di questa “napoletanità” in tanti lasciassero una “preghiera sospesa” a prescindere dal proprio credo, fino a formare un lungo filo invisibile capace di legarci tutti in un unico insieme e da far arrivare fin lassù e, perché no, anche al cuore della signora, per sollecitare la sua forza di resistere e combattere, fino poi ad aprire gli occhi e raccontarci di un inatteso calore da lei avvertito, perchè i miracoli, a volte, esistono.
In fondo lasciare una preghiera sospesa per qualcuno, chiunque esso sia, costa poco, anche meno di un caffè!
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