Atripalda – Strada facendo

I luoghi sopravvivono alle persone, benché possano anch’essi lentamente mutare nella realtà, rimanendo però intatti nella memoria; che te li conserva così come li hai conosciuti (e amati) nel tempo passato.

Si può, in tal modo ripercorrere col pensiero, tra le altre, la via Roma di Atripalda. Essa, ovviamente, esiste tuttora, ma mi consola poterla rivedere com’era.

Nasceva proprio dal centro del Paese, sfiorando la Chiesa del Carmine, che custodisce sempre il lontano ricordo di una funzione religiosa dedicata al rito della nostra “prima Comunione”.

Poco oltre si giungeva al piazzale di ingresso della Scuola Elementare, dove sembra ancora di scorgere le immagini di alcune care maestre, insieme a noi “scolaretti”. V’era lì accanto la Chiesa di San Nicola, sul cui alto sagrato, nel giorno del Venerdì Santo, un triste suono di tromba ripeteva lentamente alcune note simili ad un pianto, per la passione del Cristo.

Al lato opposto, la stessa strada “costeggiava” la cosiddetta “villa dei milionari”, bella nel suo architettonico aspetto e un pò misteriosa per noi che non la vedevamo abitata.

Si approdava, infine, alla suggestiva Chiesetta della Maddalena, posta alla sommità di una breve salita e raramente aperta.

Tante volte abbiamo camminato, in tempi remoti, per questa strada; ma ora ne ripetiamo il percorso con la sola fantasia; che ci fa perfino udire, da quei luoghi l’esortazione a parlarne ancora, com’è desiderio, se il necessario vigore della memoria ce lo consente.

Avvertiamo anche l’invito a fermarci un po’ su quella via, che si “gemmava” in un “delta” di tre strade : la via per Cesinali e quella per “borgo Ferrovia”, ai lati, ed al centro, la via per Avellino.

Ed è su quest’ultima strada che corre ulteriormente l’immaginazione, per farcela rivedere ancora libera dalle molte costruzioni che poi l’hanno fatta tanto mutare. In origine, infatti, essa era soltanto un viale riccamente alberato, con i suoi due lati ininterrottamente baciati da coltivazioni o da campi fioriti, attraversato dal passaggio della linea ferroviaria e dalle arcate dell’acquedotto, per infine proseguire in territorio di Avellino.

Sulla prima parte di questo ulteriore percorso, intorno al 1939 fu realizzata una costruzione per l’Ente Comunale di Assistenza, brevemente chiamata “casa dell’Eca”.

Sul suo lato anteriore si leggeva, infatti, “Casa dell’Assistenza- E.C.A.- Atripalda XVII”.

Essa aveva un ampio salone terraneo per l’esigenza della sua funzione; nel quale, in ricordo della Pasqua dell’anno 1940, ad iniziativa della Società di Assistenza “La Filantropia” di Atripalda, fu preparata una mensa per trecento assistiti, alla quale furono presenti anche le Autorità, poi riunite sino all’uscita, tutto come anche da rare fotografie, gelosamente conservate.

Erano, intanto, sopraggiunti i terribili anni del secondo conflitto mondiale, sino all’armistizio; poi la presenza, anche nel nostro Paese, delle forze di occupazione, divenute nostri alleati.

Constatammo con piacere che, in fondo, quella era gente come noi, per giunta lontana dalla propria casa.

Era quindi ben possibile “fraternizzare” o almeno avere buoni rapporti amichevoli. Fu per questo o forse anche per “voleri” dall’alto, che i militi di stanza in Atripalda organizzarono una festa-ricevimento, a cui furono invitate le famiglie del nostro Paese, da tenere proprio in quel locale della Casa dell’ECA.

Vi partecipammo in gran numero, con anche molti giovanissimi al seguito.

Il sito era stato adeguatamente preparato da quegli stessi militari e vi campeggiava, sul fondo, anche un ricco “buffet”, colmo di tutto quanto potesse esser gradito a noi ospiti, che molto apprezzavano quell’abbondanza, abituati alle vissute ristrettezze dei precedenti anni di guerra.

Ricordo che quasi ci meravigliò notare che, tra le bevande, veniva offerto persino il tea, che a quell’epoca ci appariva un prodotto raro.

In un angolo privilegiato, un bravo maestro pianista avellinese suonava senza sosta, incantando i presenti.

Gli ufficiali erano gioviali e galanti nell’ammirare anche il ballo con le emozionate donne di Atripalda, partecipanti con eleganza.

Un nostro compaesano, capace di parlare in inglese, aveva il suo momento di grande soddisfazione nel fare da interprete tra i militari e gli invitati.

Noi, piccoli ragazzi, partecipavamo stazionando, prevalentemente, intorno a quel buffet, servito da militari a ciò addetti.

Fu un lungo momento magico, quella strana festa, che, pur senza Cenerentola né principe azzurro, ci apparì come una favola raccontata “strada facendo” sulla via Appia, ai margini del nostro Paese, nella Casa dell’ECA; che anche successivamente accolse, ma in tempi mutati, altre manifestazioni, per poi languire ed infine esser demolita, lasciando, al suo posto, l’attuale semplice piazzale in terreno battuto; sul quale, da quella stessa strada, ora oppressa da infinite costruzioni e traffico ininterrotto, è ancora possibile tutto rivedere, ma soltanto con gli occhi del ricordo.

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