In ricordo dell’amico Ugo Sorrentino

L’Ingegnere Sorrentino, il mio amico di sempre e compaesano Ugo, è venuto a mancare ieri mattina, primo agosto, in un letto dell’Ospedale Moscati di Avellino dopo un ricovero durato appena 50 ore, epilogo annunciato di quella che continuiamo a chiamare una “brutta malattia”, invece che cancro, forse perché ci sembra che così, purtroppo illusoriamente, esorcizziamo il rischio della fine.
Perdonate se inizio questo ricordo dell’Ingegnere Sorrentino – professionista stimato in tutt’Italia per il suo talento – con una brevissima digressione personale.
In circa sessant’anni di mestiere, mi è toccato scrivere di tutto: cronaca nera, giudiziaria e bianca, politica ed economia, società e costume, cultura e spettacoli, ed ho scritto talvolta perfino di sport facendo imbestialire i tifosi. Lo sottolineo per dire che non mi sono mai rifiutato di scrivere d’ogni cosa, se non una cosa: i necrologi. Non ne sono capace affatto, anche per il timore d’indulgere alla retorica: figurarsi scrivere della morte di un amico. Sicché – e ne chiedo venia – preferisco scrivere della scomparsa dell’Ingegner Sorrentino – che è stato anche un personaggio pubblico, per il suo impegno politico e sociale oltre che professionale – sotto forma di lettera aperta, indirizzata a lui ma anche a quanti, immagino tantissimi, non l’avessero conosciuto per ciò che effettivamente era.
E allora, senza nemmeno l’ombra della retorica che tanto detesto, cominciamo come si conviene, con un profondissimo “Caro” Ugo.
Dunque, Caro Ugo ti scrivo: non per distrarmi un po’, perché davvero non ne ho voglia, ma piuttosto per concentrami al massimo, e riproporti la testimonianza di affetto, di stima e di ammirazione che meriti.
L’affetto. Tu meriti di essere ricordato con immenso affetto, Amico caro, perché hai distribuito a piene mani rispetto, attenzione e amore cristiano per il prossimo. Sempre. Dietro l’apparenza del professionista e dell’uomo dalla scorza dura, una maschera – ahinoi! – indispensabile nella giungla di questo mondo che gira al contrario, c’era il cuore tenero di una persona geneticamente buona, generosa, altruista. La genetica. A proposito, Amico caro: ricordi quante volte – citando il compianto Saverio Russo – dicevi che “i cromosomi sono una cosa seria”? Lo facevi perché ti rifiutavi d’indulgere – ed io ero d’accordo con te – all’ipocrisia del buonismo a tutti i costi e alla tolleranza pelosa, “a prescindere”, dinanzi a comportamenti incivili o speculativi: due morbi sociali che tanti danni hanno prodotto nei processi di formazione del cittadino. Qualcuno in passato – ancora e purtroppo a causa dei cromosomi “impazziti” – ha osato perfino azzardare nei tuoi confronti il giudizio, che poi si rivelava puntualmente un pregiudizio, di “persona egoista”. Sono stato testimone, e soltanto oggi infrango la promessa del silenzio, d’innumerevoli tuoi gesti di profondo altruismo: hai saputo dare senza chiedere, hai donato senza far sapere, hai fatto del bene dimenticandotene, nello stile e nello spirito di un cristiano vero. Altro che egoismo, Amico mio.
La stima. Tu meriti di essere ricordato con immensa stima. Hai studiato. Hai fatto sacrifici enormi. Al “Geometri” di Ariano eri tra gli allievi migliori: intelligente, veloce, intuitivo, pragmatico, ferrato in Matematica e nelle Costruzioni, eccellente in Italiano: una “passione”, quest’ultima, sempre coltivata con dedizione di migliaia di letture, e che dopo la brillante laurea in Ingegneria, ha fatto di te un Grande Tecnico con la capacità, virtù rara, di far capire le cose complesse con un linguaggio semplice. Mattone su mattone – è il caso di dire – hai costruito una invidiabile carriera di libero professionista. Chi ti ha scelto, specie nella progettazione delle grandi e prestigiose opere infrastrutturali, lo ha fatto seguendo con rigore il criterio della competenza.
L’ammirazione. Tu meriti di essere ricordato con immensa ammirazione. Per la “consapevolezza” del diritto al successo attraverso lo studio, l’impegno, il sacrificio: per cui quel diritto hai difeso con i denti, applicando nella misura opportunamente calibrata il saggio secondo cui “A brigante” va contrapposto “Un brigante e mezzo”. Consapevolezza dei diritti, ma anche, e direi soprattutto, la “Coscienza” del dovere: il dovere di tenere sempre e comunque alto il valore dell’etica professionale; il dovere dell’onestà intellettuale; il dovere di non perdere mai di vista il bene comune.
E meriti di essere ricordato con ammirazione, Amico mio, per la tua grande capacità di dare il giusto peso alle cose – quelle belle e quelle sgradevoli – inquadrandole sempre nell’irrinunciabile cornice della dimensione umana, che è l’unica “Unità di Misura” del senso e del valore di questo nostro fragile passaggio terreno.
Ti ho pianto come un fratello, Amico mio. Mi mancherai. Mi mancheranno perfino le tue “bugie bianche”: quella categoria di bugie innocue, ironiche, divertenti, per le quali gareggiavamo a chi fosse – tra te e me – più “busciardo”. Mancherai a tua moglie Aurora. Mancherai ai tuoi adorabili figli Giuseppe, Cristina e Sergio. E a tua sorella Rita, e ai tuoi fratelli Alfonso e Carlo, e ai tuoi nipoti. E mancherai a tutti gli amici. Che la terra ti sia lieve, Ugo caro.

I commenti sono chiusi.