De Mita, i magnifici sette, l’Irpinia: la lezione della storia e il vuoto che resta mezzo secolo dopo
Una terra come questa, oggi come mezzo secolo fa, non ha altra via se non quella del primato della politica. Una via perduta, se è vero come è vero che facciamo fatica persino a ricordare i nomi di chi ci rappresenta nelle istituzioni, una via che purtroppo non ritroveremo oggi all’ombra di Sant’Amato
Ciriaco De Mita fu innanzitutto il leader di una classe dirigente straordinaria che seppe condurre questa terra nella modernità. Fu il primo dei magnifici sette.
In Antonio Aurigemma, che gli aprì la porta di casa quando arrivò ad Avellino, quindi in Biagio Agnes, Nicola Mancino, Salverino De Vito, Gerardo Bianco e Peppino Gargani trovò i suoi naturali compagni di viaggio, compagni con i quali avrebbe fatto la storia di questo Paese, con i quali avrebbe dato rappresentanza alle istanze di questa terra povera e marginale, restituendole orgoglio, centralità e progresso. Sette ragazzi venuti dal nulla, uniti nel pensiero, uniti negli ideali di un popolarismo che rigettava ogni spinta conservativa, che individuava nel dialogo a Sinistra la naturale e necessaria via d’uscita alla crisi strutturale di una democrazia incompiuta come quella italiana, sette ragazzi che con la forza delle idee, con il coraggio della visione seppero imporsi sul proscenio della politica nazionale, seppero affermare le istanze di questa terra e dell’intero Mezzogiorno in cima all’agenda istituzionale del Paese.
Quella Storia non è certo finita ieri, quell’epopea appartiene ad un tempo consegnato alla Storia già da diversi decenni ma non v’è dubbio che la dipartita di Ciriaco De Mita ci condanna a fare i conti con quello che oggi resta e ci restituisce l’amarissima consapevolezza che oggi, proprio come allora, questa provincia non ha altra possibilità, per uscire dall’isolamento e dalla marginalità, se non quella di vincere la sfida della rappresentanza democratica.
In una terra come questa, marginale sotto ogni punto di vista, sociale, economico e demografico, il futuro non passa a prescindere. Una provincia come l’Irpinia, oggi come mezzo secolo fa, può giocare la propria partita nella modernità solo attraverso la rappresentanza istituzionale, dunque una classe dirigente, capace di vincere la debolezza dei numeri con la forza del pensiero, delle idee, dell’autorevolezza, capace di incidere sulle dinamiche politiche ed istituzionali nazionali, di fare la differenza.
Una terra come questa, oggi come mezzo secolo fa, non ha altra via se non quella del primato della politica. Una via perduta, se è vero come è vero che facciamo fatica persino a ricordare i nomi di chi ci rappresenta nelle istituzioni, una via che purtroppo non ritroveremo oggi all’ombra di Sant’Amato.
I commenti sono chiusi.