Commozioni

Abbiamo chiesto alla scrittrice Architetto Emilia Bersabea Cirillo l’autorizzazione a utilizzare per la nostra testata giornalistica il pezzo “Commozioni” pubblicato sul sito Fuori Misura.
Ringraziamo Emilia per la squisita sensibilità.


– di Emilia Bersabea Cirillo –

Sarà l’età, ma i sepolcri provocano in me una commozione che prima non conoscevo. Un senso di pace, di ordine, di infanzia mi prende, forse per quei fiori freschi disposti in una simmetria non perfetta, il tappeto rosso ben tirato a coprire il pavimento, le ciotole del grano in germoglio, i lumini accesi che rischiarano la mensa, per un gesto di cura così difficile da rintracciare. In pochi metri quadrati c’è un messaggio diretto di morte e di vita al tempo stesso, un messaggio che ci dice “niente è per sempre”, tutto può cambiare, anzi per chi è credente, cambierà sicuramente, non bisogna disperarsi di fronte alla messa in scena di una morte, anche se è quella di Cristo. C’è ancora tanto futuro in cui credere, per cui spendersi.
Da quando i lutti hanno colpito duramente la mia famiglia, quel niente è per sempre mi sembra un messaggio consolatorio a cui aggrapparmi. Quei semplici fiori bianchi e gialli, il grano in erba diventano la speranza, flebile, quasi impercettibile, esattamente come la luce dei lumini, a cui concedere il mio respiro, i miei pensieri di futuro.
Questo assistere alla fine dell’esistenza e contemporaneamente immaginarne il suo contrario, il sospendere il tempo conosciuto per l’attesa di uno migliore, provoca in me commozione, un profondo consapevole bisogno di consolazione, che significa lacrime agli occhi, nel ricordo di quello che non c’è più e nell’affido dei miei desideri, vaghi assai, al mio agire. Si piange un po’, come da bambini si piangeva senza un motivo vero, per malinconia, forse, per nostalgia del futuro, per non saper nominare le cose di cui si ha bisogno, un pianto silenzioso, solitario, inspiegabile, a cui ho deciso di arrendermi. Niente groppi alla gola, niente ricacciare dentro le lacrime. Si piange e basta.
Si, chiagnere è bello, diceva Filumena Marturano a Dummì, “come è bello chiagnere” e in queste parole c’era tutta la libertà di mostrarsi per come si era, fragili e forti, sfibrate da lunghe lotte ma sempre pronte ad affrontarne di nuove, sorprese dalle ricompense della vita dopo averne conosciuto i tradimenti.
Oggi, però, di fronte allo splendido sepolcro della chiesa del Cuore Immacolato di Maria, c’era un motivo in più per piangere. Due drappi, uno rosso e blu, un altro giallo e azzurro erano stati posti accanto alla teca del Santissimo a simboleggiare le due bandiere russe e ucraine, in mezzo quello rosso della passione di Cristo, sopra la scritta in lettere d’oro “Vi lascio la mia pace vi dono la mia pace”. Il presente è la guerra, forse lo è anche il futuro, ma è accogliere la pace la vera sfida, ora.
Quelle parole, per me che cerco da anni uno squarcio di fede senza ancora trovarla, sono state un messaggio diretto, carico di responsabilità. Lavorare per la pace, pregare per la pace, lottare per la pace, accogliere la pace dentro di noi per cercarla fuori di noi.
Tanta commozione, oggi, in questo angolo remoto di mondo che è il sepolcro della mia parrocchia. Per i miei pensieri personali, per il desiderio di pace, questa parola semplice, solo quattro lettere, che contiene in sé ogni speranza, di vita, di resurrezione. Pace per ognuno di noi, individui del mondo.

Buona Pasqua 2022.

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