Guerra e Pace: da Tolstoj a Putin e l’Ucraina
(Franco Genzale) – L’invasione dell’Ucraina, la guerra voluta da Putin, i massacri da lui ordinati perfino di bambini, anziani e donne, le minacce di “conseguenze” a Paesi pacifici come la Finlandia e la Svezia, le montagne di macerie fin qui innalzate e sotto le quali si pensa e si pretende di poter seppellire la libertà e la civiltà dell’Occidente, l’escalation di provocazioni che il cinico e barbaro dittatore russo ha scientificamente azionato, senza curarsi del rischio di un conflitto mondiale “nucleare” che significherebbe la distruzione del Pianeta: è dentro questa cornice tragica che viviamo la Pasqua 2022, come se non fossero bastati i due anni di pandemia (ahinoi, ancora in atto!) con le vittime e le angosce individuali e collettive che ha portato con sé.
Qualche giorno fa, proprio in vista d’una Pasqua drammaticamente diversa da quella che avevamo sperato di poter festeggiare, ho proposto a Mirella Napodano di sviluppare un Editoriale sul seguente tema: “Guerra e Pace: da Tolstoj a Putin e l’Ucraina”. L’affresco che ne è venuto fuori ha superato – a mio giudizio – ogni aspettativa di eccellenza, già considerato lo spessore culturale, la grande sensibilità e la straordinaria capacità di scrittura, incisiva e musicale, della Professoressa Napodano.
La sua riflessione – lucida, genuina, storicamente inappellabile – fa peraltro giustizia delle assurde posizioni filoputiniane di diversi intellettuali italiani, che non si sono fatti scrupolo – per ideologia o forse più semplicemente per vanità – di calpestare la bandiera della libertà e del diritto all’autodeterminazione del popolo ucraino. Buona lettura).
– di Mirella Napodano –
Da Lev Tolstoj a Wladimir Putin ci passa un abisso: una distanza vertiginosa, pari a quella che si può immaginare tra l’amore per l’umanità e la cupidigia di potenza, tra la sollecitudine pedagogica e la prevaricazione più bestiale. Non saprei immaginare che cosa avrebbe scritto oggi Tolstoj sull’invasione dell’Ucraina. Sarebbe riuscito a tratteggiare in un grande disegno epico e filosofico l’eroismo della resistenza ucraina e l’indicibile ferocia di soldati spesso ubriachi, mandati a devastare pacifiche e laboriose comunità fino al totale annullamento? Avrebbe mai potuto descrivere con efficacia drammaturgica l’inqualificabile comportamento verso la popolazione civile commissionato da Putin alle sue armate, così come seppe ritrarre con potente e lucido sguardo metafisico la personalità di Napoleone nel grande flusso degli eventi tra le battaglie di Austerlitz e Borodino?
Nel suo ampio affresco degli avvenimenti politici e bellici che attraversarono le Russia dal 1805 al 1820, Lev Tolstoj offre in Guerra e pace un immenso racconto sulla condizione umana, che spazia dalla narrazione biografica dell’incrociarsi dei percorsi di vita di alcune aristocratiche famiglie moscovite come i Bolkonskij e i Rostov agli eventi colossali delle grandi battaglie combattute nell’immenso, gelido e sconfinato paesaggio russo. E tutto questo per tessere la trama in cui dovevano dipanarsi due eterne protagoniste/antagoniste del destino umano: la Guerra e la Pace, dal fratricida Caino ad Abele il ‘giusto’: fatali icone di conflitti devastanti e pacificazioni epocali. Un dato è certo, finanche ovvio come attesta lo stesso Tolstoj, e cioè che tutta la varietà, tutta la delizia, tutta la bellezza della vita è composta di ombra e di luce, ma anche che, come certamente in questo momento sta sperando Zelensky: i più forti tra tutti i guerrieri sono il tempo e la pazienza. Quel tempo solenne che, evocando grandi distese innevate e brume lattiginose a perdita d’occhio, pervade il dialogo tra pianoforte e orchestra nel Concerto n.1 di Tchaicowsky – primo amore sinfonico che porto in mente da decenni – saldamente insediato come colonna sonora della mia vita e dei miei pensieri in musica. E che dire di Borodin? Le sue Danze Polovesiane, quattro danze accompagnate da un coro ed inserite nel secondo atto dell’opera lirica Principe Igor, sono tra le musiche più belle che mente umana abbia mai concepito e udito. Mi sono chiesta spesso – anche in tempi non sospetti – dove sia andata a finire la grande tradizione musicale russa e per quali motivi si sia esaurita un’ispirazione così grandiosa e sublime; fenomeno particolarmente evidente dalla Rivoluzione del febbraio 1917 ad oggi. Certamente le sarà toccata una fine analoga a quella della grande letteratura romantica che ha dato al mondo – oltre a Tolstoj – figure come quella del filosofo e romanziere Dostoevskij, l’immortale autore dell’Idiota: uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi che nelle sue opere ha cercato di scandagliare l’animo umano in tutte le sfaccettature, quasi per rintracciarne il motore d’azione. Sta di fatto che, dopo la mirabile stagione dei vari Cechov, Gogol, Bulgakov, Majakowskij e infine Pasternak, la letteratura russa non ha più prodotto quei grandi, ispirati capolavori che hanno nutrito generazioni di lettori in tutto il mondo. Amara considerazione, se si pensa alla celeberrima – e non di rado fraintesa – affermazione del principe Miskin nell’Idiota a proposito della capacità della bellezza di salvare il mondo; una frase che fa pensare a come la vera cultura non cerchi di primeggiare, quanto piuttosto di elevare gli animi alla contemplazione del valore irrinunciabile degli universali etici.
In una veloce retrospettiva geopolitica, rileviamo che la Russia esce dal primo conflitto mondiale perdendo un quarto dei territori europei per effetto del Trattato di Brést-Litovsk: Finlandia, Estonia, Livonia, Curlandia, Lituania, Polonia e Ucraina. Non c’è alcun dubbio che proprio a questo lontano scenario di privazione territoriale sia riconducibile il folle disegno espansionistico, dispotico e antistorico, rintracciabile nell’odierna postura politica di Putin connotata di ipernazionalismo. Non ci meraviglia che tanta crudele aggressività, scatenata in particolare contro civili inermi, anziani, donne e bambini in fuga negli improbabili corridoi umanitari, sia finalizzata al raggiungimento di scopi di conquista a tutti i costi – per pura brama di potere – pur di piantare la propria bandiera su un cumulo di macerie fumanti. La propaganda di regime in Russia deve essere particolarmente efficace se la bieca invasione dell’Ucraina sembra essere giustificata da buona parte della popolazione, almeno stando alle notizie diffuse dai canali ufficiali della dittatura putiniana, che certamente ha interesse a non far trapelare la reale situazione diffusa nell’opinione pubblica circa eventuali azioni di contrasto al regime, realizzate all’interno dell’immensa nazione russa da parte dei dissidenti e quasi sempre soffocate nel sangue.
E qui echeggia l’ironica quanto amara considerazione del filosofo Immanuel Kant: L’essere umano è l’unico animale che ha bisogno di un padrone per vivere. Ubbidire agli ordini di qualcuno, anche nella vita privata, è infatti più facile e comodo che prendersi la briga di pensare con la propria testa, assumersi le proprie responsabilità, confrontarsi e agire di conseguenza. Non ci illudiamo: la frase è rivolta anche a noi, tutte le volte che per quieto vivere barattiamo la nostra libertà con l’acquiescenza; non vigiliamo abbastanza sulla coerenza dei nostri pensieri con le azioni che compiamo; non esercitiamo il giusto senso critico sulla fiumana dei messaggi mass-mediali e virtuali in cui da tempo siamo immersi. È difficile amare tenacemente la libertà, specie quando questo amore sboccia in una dittatura crudele e dispotica, in cui i coraggiosi dissidenti rischiano letali ritorsioni, come morire per avvelenamento o essere sepolti vivi in un carcere duro in virtù di una condanna sine die, come quella che ha colpito – fra gli altri – l’attivista politico e blogger di origini ucraine Alexei Navanly. La libertà fa paura ai dittatori perché è intimamente connessa alla verità, di cui essi sono accaniti antagonisti. Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi (Giovanni 8,31-42) è la radicale, categorica affermazione del più celebre e irreprensibile condannato della storia.
È nell’ontologia stessa dell’Europa come entità sovranazionale – in quel suo essere costituita da nazioni diverse per cultura, lingua, tradizioni – cercare la pace dopo secoli di sanguinose guerre intestine, il cui esito per il passato non è andato quasi mai oltre il prolungato congelamento dei conflitti. Ora, mentre Putin è evidentemente ossessionato da una riscrittura della storia a suo uso e consumo, l’Unione europea ipotizza un altro ordine politico-economico all’interno dei suoi confini, che non potrà non avere enormi ripercussioni sull’equilibrio geopolitico planetario. Che cosa ci resta da fare in uno scenario così complesso ed inquietante? Secondo me occorre partecipare in tutte le possibili forme al processo di ricerca della libertà, interiore e politica, di cui la prima è premessa della seconda; considerare il nostro e l’altrui dolore come un’opportunità di apprendimento resiliente, di crescita culturale ed umana; non estraniarsi in attesa di soluzioni miracolistiche, che non si daranno senza il contributo di ciascuno. Ricordare che Libertà è Partecipazione, come cantava anni fa Giorgio Gaber. E per concludere voglio anche attingere ad alcuni dei pensieri espressi nel testo di Bello mondo, la poesia di Mariangela Gualtieri che Jovanotti ha voluto recitare al Festival di S. Remo 2022:
In quest’ora della sera
da questo punto del mondo
ringraziare desidero il divino
labirinto delle cause e degli effetti
per la diversità delle creature
che compongono questo universo singolare.
Ringraziare desidero per l’amore
che ti fa vedere gli altri
come li vede la divinità…
Per l’arte dell’amicizia
per l’ultima giornata di Socrate
per il linguaggio che può simulare la sapienza…
per la patria sentita nei gelsomini…
Per tutte le biblioteche del mondo
per quello star bene tra gli altri che leggono.
Per i nostri maestri immensi
per chi nei secoli ha ragionato in noi…
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