Medicina territoriale: politica, svegliati!

Qui Campania; abbiamo un problema! Non è di poco conto, è un problema grande e grave: va necessariamente classificato come “prioritario”. È il problema della Medicina Territoriale. Detto in estrema sintesi, e facendo a meno dei “paroloni”, che assai spesso servono soltanto ad eludere le questioni serie, la Medicina Territoriale è quella “cosa” che può conferire la massima efficienza al servizio sanitario nelle realtà locali, rendendo veloce e sicura la fase di ordinaria assistenza medica sul territorio (appunto!) e, nel contempo, consentendo agli ospedali di fare esclusivamente e al meglio il proprio mestiere. Che consiste – ricordiamolo sempre – nel dedicare attenzione, operatività e spazi necessari ai pazienti le cui condizioni oggettive richiedono accertamenti diagnostici, terapie e interventi che non possono essere praticati nelle strutture territoriali semplici.

Invero non è problema della sola Campania. È un problema di tutte le regioni italiane, a cominciare dalla blasonata Lombardia, che però continua irresponsabilmente a far finta di non averlo. A voler essere pignoli, è un problema di tutte le regioni d’Europa, giusto per restare nei nostri confini continentali. Solo che prima della pandemia, ancorché tutti consapevoli della debolezza strutturale della Medicina Territoriale, nessuno se n’è fatto carico. C’è voluto il Covid – ahinoi e purtroppo! – per farci prendere coscienza che la mancanza di un “filtro” ben organizzato tra territorio ed ospedali è stata tra le principali cause della risposta inadeguata – in termini di velocità diagnostica e terapeutica – che siamo riusciti a dare rispetto all’insorgenza e alla diffusione del Virus.

Poi siamo stati bravi a recuperare parzialmente il tempo perduto. Il nostro sistema ha cominciato a funzionare bene sul fronte delle vaccinazioni, nonostante i No Vax. Epperò diciamolo con estrema chiarezza: le tante, troppe morti che si potevano evitare con una diversa, più capillare ed efficiente organizzazione del sistema – se mai fosse stato “pensato” e realizzato in tempo utile – la Politica sanitaria della nostra storia repubblicana se le porterà sulla coscienza per sempre.

La lezione – a parte rare posizioni di principio o banalmente strumentali – oggi è stata comunque capita. Ma, attenzione, soltanto a metà. E siamo ai fatti attuali. Al “problema” che abbiamo.
Se n’è parlato l’altra settimana, in occasione dell’ultimo scontro all’interno della Conferenza Stato-Regioni: con De Luca che ha opposto il “veto” della Campania sullo schema organizzativo della nuova Medicina Territoriale presentato dal ministro della Salute. Ridotto all’essenziale, il fatto è che ci sono sette miliardi del Pnrr per riformare questo specifico settore del Servizio Sanitario Nazionale con la previsione di Reti di prossimità, strutture e telemedicina. Una cifra notevole, va senza dire. E questa è la metà “capita” della lezione Covid: bisognava mettere mano alla Riforma della Medicina Territoriale e il governo si è mosso.

La metà non compresa della lezione è che non bastano – per la soluzione del problema – gli ospedali e le case di comunità e i centri operativi e la telemedicina. Non bastano se non c’è chi li fa funzionare, ovvero se non c’è il personale quantitativamente e qualitativamente adeguato. È su questa considerazione che poggia il “veto” di De Luca, per cui – a questo punto – o il governo utilizza i poteri sostitutivi (le decisioni della Conferenza Stato-Regioni sono vincolate alla sussistenza della unanimità) oppure il governo deve modificare la Riforma in modo che rientri il dissenso. Tertium non datur.

Ne abbiamo già scritto la scorsa settimana. De Luca non ha sollevato la questione del personale “per sfizio”. Ha semplicemente detto una cosa giusta, anticipando il rischio concreto del fallimento della nuova Medicina Territoriale se non si scioglie il nodo del “chi” conferisce le risorse per pagare le migliaia di unità lavorative necessarie. Tanto più se si consideri che la pianta organica della Campania è già sotto di 15mila operatori tra medici, infermieri, altri parasanitari e amministrativi.
La questione sollevata da De Luca, tuttavia, è la più rilevante, almeno per la Campania, ma non l’unica. Fior di esperti in materia hanno rilevato sul “quotidianosanità.it altre gravi criticità del DM 71, che è il decreto-riforma della Medicina Territoriale proposto dal ministro della Salute.

Filippo Palumbo (già Direttore Generale e Capo Dipartimento per la Programmazione sanitaria presso il Ministero della Salute) e Maria Giuseppina La Falce (già Dirigente presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) hanno fornito un elenco dettagliato e ragionato dei principali nodi che, se non sciolti, faranno configurare una nuova Medicina Territoriale destinata sicuramente al flop. Per altro verso, un enorme dispendio di risorse senza agguantare nemmeno il minimo risultato utile possibile.

Al netto della questione “personale” opposta dal presidente della Campania, i punti di particolare problematicità del DM 71, secondo gli esperti testé citati, vanno dai dubbi di legittimità legislativa di alcune procedure adottate alla verifica di “come rafforzare gli standard di confine tra assistenza ospedaliera e assistenza territoriale”, dalla necessità di “colmare la persistente carenza di previsioni per un rafforzamento strutturale dei Dipartimenti di Prevenzione” a quella di “porre riparo alla clamorosa scelta di rinviare la parte che riguarda la salute mentale nonostante il fatto che si tratti di un’area assistenziale alla quale bisogna dare priorità in quanto: a) E’ un’area di servizi sanitari e sociosanitari da considerarsi sotto stress organizzativo permanente che ancora sta metabolizzando gli effetti del pur meritorio processo di riforma per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari; b) In questi 50 anni di vita del Servizio Sanitario Nazionale ha costituito l’unico vero esempio di Dipartimento transmurale”.

Insomma, si parla di questioni decisamente molto rilevanti che non possono essere trattate all’acqua di rosa anche in considerazione della massiccia quantità di risorse finanziarie rese disponibili.
Il problema dei problemi, in tutto ciò, è la latitanza della politica. Dal grado di interesse dei livelli politici nazionali a quelli locali, si ha la sensazione che non sia stata compresa nella giusta misura l’importanza di un tema che riguarda la qualità della risposta operativa al nostro diritto ad un’assistenza sanitaria dignitosa.

Oltre tutto, per obbligo di norma, i giochi si chiuderanno in tempi brevissimi. E se il governo centrale, non “stimolato” a sufficienza, dovesse optare per l’applicazione dei poteri sostitutivi lasciando il DM 71 così com’è, avremo davvero perso una grande opportunità per dimostrare che la “Lezione Covid” l’abbiamo compresa bene e per intero.

P.S.: Proprio per le ragioni esposte, ITV dedicherà al tema una serie di approfondimenti televisivi con esperti e rappresentanti della Sanità e delle parti sociali.

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