Il congresso (di oggi) del Pd irpino

Dopo circa quattro anni di formale e sostanziale assenza del Pd irpino in questa provincia, sarebbe stato interessante e utile far precedere da una corposa serie di dibattiti nei circoli il congresso in programma nel tardo pomeriggio di oggi, venerdì 18 marzo. Un partito che qui gode ancora di un consenso abbastanza ampio, e perdippiù è presente nella stragrande maggioranza delle istituzioni locali, avrebbe dovuto avvertire il dovere di arrivare all’appuntamento congressuale con il bagaglio pieno zeppo delle idee e degli umori dei suoi iscritti. Si chiama “Democratico”, questo partito, proprio perché fonda la sua natura sulla “partecipazione” di chi idealmente ne fa parte.

Il commissario inviato dal Nazareno e i “vertici” (non si capisce a quale titolo: forse perché “padroni” delle tessere?) del Pd provinciale hanno scelto invece di saltare a piè pari il tradizionale percorso di confronto sui tanti, troppi problemi irpini che attendono indicazioni di sbocchi risolutivi. Hanno deciso, in buona sostanza, di passare direttamente alla proclamazione – si badi bene, non alla elezione! – degli organi statutari: ovvero di rinunciare alla selezione, attraverso il voto degli iscritti, delle persone in carne e ossa che da domani mattina avranno il compito di guidare il partito in una delle fasi più critiche e complesse della vita provinciale (e regionale e nazionale insieme, visto che l’attuale congiuntura ha il medesimo nome di “pandemia da Covid” in ogni angolo d’Italia).

Stasera il Pd irpino proclamerà, “non eleggerà”, la sua classe dirigente provinciale, dunque. La proclamerà soltanto: perché ad eleggere – nel senso più restrittivo immaginabile – i 60 nomi dell’Assemblea del partito ci hanno già pensato i notabili che di fatto costituiscono l’oligarchia del partito. Oligarchia, il “governo di pochi”, altro profilo antitetico a ciò che dovrebbe essere – per definizione, natura, ideologia – il Pd. Nella fattispecie, si tratta addirittura di oligarchi “abusivi”, anche perché abusivamente hanno costruito il mosaico delle oltre diecimila tessere in gran parte prima contestate e poi generosamente “assolte” dal Nazareno. Chissà perché!?

Insomma, per non farla lunga e filosofica, c’è molto più di qualcosa che non va in questa vicenda. Oppure va tutto meravigliosamente bene – madama la marchesa – se si conviene che il Partito Democratico “non esiste” (chi ha buona memoria ricorderà che il copyright della inesistenza del Pd è di Ciriaco De Mita).

Sappiamo tutti, in realtà, che al riguardo De Mita ha torto. Egli affermò la prima volta, ed ha continuato a farlo in seguito per coerenza, che il Pd non esiste soltanto perché non ne ha fatto più parte da quando, nel 2008, Walter Veltroni, segretario numero 1 del nuovo soggetto politico, non volle ricandidarlo al Parlamento.

Ha torto, De Mita. Il Pd esiste e tanto più. È l’unico partito, come si dice, strutturato. È anche l’unico partito che i congressi – a parte l’Irpinia – li fa a scadenza naturale e con tanto di dibattiti e scontri interni anche molto aspri. È il partito che oggi ha più voce in capitolo nel governo centrale, nonostante la rappresentanza parlamentare largamente minoritaria rispetto al M5S. Esiste, indubitabilmente esiste, il Partito Democratico. Altro è la qualità della sua esistenza. Una qualità decisamente discutibile per i caratteri identitari offuscati o comunque assai volubili, per le correnti interne che nemmeno lontanamente ricalcano il modello delle diverse scuole di pensiero dell’ex Dc e dell’ex Pci, risolvendosi invece in consorterie di basso profilo politico ed etico.

Tuttavia – ripetiamolo ancora – esiste il Pd: sia come idea che come partito. E solo Dio sa quanto ci sia bisogno, soprattutto oggi, di partiti politici strutturati e di pensiero forte dopo il fallimento dei Movimenti, ultimo quello dei 5 Stelle, in presenza delle grandi e complesse questioni disvelate dalla pandemia, da una parte, e dalla vicenda Ucraina dall’altra.

Nasce da qui la delusione, nel piccolo della provincia irpina, di una opportunità mancata: quella, appunto, di rimettere in moto la macchina della politica partendo dalla presa d’atto degli errori commessi, dalla consapevolezza della necessità di cambiare metodi e direzione di marcia, dall’urgenza di restituire il partito – qui ed ora il Pd, in diverse circostanze gli altri simboli – ai legittimi “proprietari”, che sono gli iscritti e i militanti “veri, spontanei, convinti”.

Tutto alle ortiche, dunque? Guai a cedere alla tentazione della rinuncia. Il Pd irpino che uscirà dal congresso già scritto e letto di stasera è una creatura oggettivamente imbarazzante. L’aspetto positivo è il profilo umano del segretario Nello Pizza: persona perbene, professionista di valore, passione per la politica, interessi personali zero.

Nella debolezza strutturale della creatura partorita dagli oligarchi abusivi del partito, il nuovo segretario potrebbe avere gioco agevole nel tentativo di rifondazione del Pd. Serve volontà, coraggio, rigore, determinazione, autonomia rispetto a tutti. In buona sostanza, serve che il segretario dica a chiare lettere agli oligarchi che si sono abusivamente accordati sul suo nome: “Ora si fa come dico io, altrimenti arrivederci e grazie!”.

Per ciò che può servire, nel sottoscritto c’è una chiara prevalenza del pessimismo della ragione sull’ottimismo della volontà di crederci. Ma spetterà al tempo darci la versione inoppugnabile di come saranno andate le cose. E non dovremo di certo attendere un’eternità.

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