I danni (milionari) della malapolitica irpina
L’ultimo frutto della malapolitica irpina venuto a maturazione è la bocciatura della richiesta, avanzata dall’Ente idrico campano (Eic), di un finanziamento di circa 34 milioni per avviare il risanamento delle reti colabrodo che fanno disperdere una quantità enorme d’acqua, circostanza che incide non poco sulla “bolletta” e sui costi complessivi di captazione e distribuzione di un bene prezioso che abbonda nelle sorgenti della provincia ma che non è inesauribile.
“Il paradosso è che il finanziamento è stato negato dal ministero delle Infrastrutture, non per colpa del destino cinico e baro, ma semplicemente perché i sindaci irpini, e in parte sanniti, dell’assemblea Ato non hanno trovato il tempo o la volontà o non sono stati capaci di dare in affidamento il servizio idrico ad un gestore.
Al riguardo nei prossimi giorni sentiremo spiegazioni che non stanno né in cielo né in terra, e vedremo amministratori locali delle diverse parrocchie politiche arrampicarsi sugli specchi nel tentativo di scaricare le responsabilità sugli extraterrestri. Comunque si giri la frittata, l’essenza della realtà non cambia: quei 34 milioni sono stati persi per il motivo testé affermato.
Il paradosso – si perdoni il bisticcio – è ancora più paradossale alla luce di un’altra verità incontestabile: il ministero delle Infrastrutture ha trovato addirittura eccellente il progetto dell’Alto Calore Servizi, a riprova che la società idrica irpina dispone di un’alta valenza di capacità tecnica, ma non ha potuto concedere il finanziamento per la mancanza (assurdo!) del requisito fondamentale, ovvero il soggetto gestore.
Detto altrimenti, l’ingegnosità dell’Alto Calore ha progettato un modello d’autovettura perfetto in tutti i dettagli ma privo del “motore” (leggi pure “gestore”), ossia l’unica cosa che avrebbe dovuto fornire l’Ato, l’assemblea dei sindaci dell’ “Ambito territoriale ottimale” in materia idrica. Eppure gli amministratori locali erano stati avvertiti, in tempi non sospetti, delle incombenze che avrebbero dovuto caricarsi sulle spalle quando rivendicarono (ed ottennero) maggiore autonomia decisionale in materia di acqua e rifiuti. La buona “lezione” che ne fece qualche anno fa il vicepresidente della Regione, Fulvio Bonavitacola, evidentemente non trovò orecchie molto attente, forse si disperse nella spocchiosa indifferenza d’un bel po’ di nostri sindaci: proprio come per decenni si è dispersa tanta, preziosissima acqua nelle reti bucate del territorio provinciale.
L’irresponsabilità politica degli amministratori locali non ha attenuanti, nemmeno generiche. In questo come in altri capitoli del governo del territorio, c’è in loro una vocazione irrefrenabile alla chiacchiera inconcludente, che poi è una delle cause principali del vistosissimo gap di pragmatismo operativo che premia il sistema territoriale del Nord rispetto al Sud. I nostri sindaci continuano a chiedere attribuzioni di competenze, come abbiamo potuto osservare anche in questi due anni di emergenza Covid specie in materia sanitaria; ma quando si tratta di sbrigare gli affari per i quali sono già istituzionalmente competenti si perdono – nella fattispecie è il caso di dire – in un bicchier d’acqua.
Eppure, in larga misura, non abbiamo sindaci carenti di intelligenza, capacità amministrativa, sensibilità istituzionale. Tutt’altro. Il problema è diverso. È nel peccato originale. E il peccato originale è l’eccesso di “politicizzazione” – in senso partitico e in senso correntizio all’interno del medesimo partito – della funzione amministrativa.
Esemplificando, per l’Ato idrico o l’Ato rifiuti o gli altri enti sovracomunali e società partecipate, qui non si ragiona sugli obiettivi o sul grado di efficacia ed efficienza dei servizi pubblici. Qui si ragiona di “chi”, appartenente a “chi altri”, deve occupare una determinata posizione per garantire il voto clientelare al proprio dante causa. Si tratta di una concezione ancora feudale dell’uso del potere politico. E fa niente se poi perdiamo 34 milioni di euro per riparare i nostri acquedotti colabrodo, se ci facciamo trovare impreparati per la grande sfida del Pnrr, se molti nostri comuni continuano a chiedere finanziamenti per opere pubbliche che non servono ma si “vedono”, quindi portano voti, invece di puntare su trend tecnologici, come il Digitale e la Sostenibilità, in assenza o insufficienza dei quali si è destinati a restare fuori da ogni processo di sviluppo.
In larga misura, i nostri sindaci – per stare al “giogo” (giogo con la “g” prima e dopo) del padroncino politico di turno – sprecano le proprie energie a rincorrere farfalle, a friggere l’aria, ad assumere posture da statisti quando sarebbe molto più facile ed utile fare il proprio mestiere, che è quello della buona amministrazione del territorio comunale, indipendentemente dal colore politico della maglietta che indossano e, soprattutto, indipendenti (essi sindaci) dai gioghi e dai giochi (qui con la “c”) dei loro padroncini di turno.
Possiamo girarci intorno quanto si vuole, ma avremmo il dovere di prendere atto che in questa provincia siamo di fronte ad un diffuso fenomeno di sconnessione dalla realtà della nostra classe dirigente amministrativa. E che ciò è in gran parte causato dalla inadeguatezza della classe dirigente politica, a cominciare da quella parlamentare per finire alla rappresentanza (dove c’è) dei partiti.
Tutto è perduto, dunque? Certo che no! C’è ancora tempo per una impennata d’orgoglio – stavolta soprattutto da parte dei cittadini comuni – per selezionare con maggiore oculatezza la classe dirigente politica, a cominciare da quella parlamentare.
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