Atripalda e una semplice storia vera d’amore

Erano gli anni bui di un mondo in fiamme, nell’ormai lontano febbraio del 1943. Un cieco Marte infuriava su vari fronti, rendendo incerte anche le sorti dell’Italia, stranamente condivise con un terribile alleato destinato a finire sconfitto e poi con potenze meritatamente vincitrici nell’immane conflitto di una seconda guerra mondiale.

Anche Atripalda contribuiva, come poteva, a sostenere la propria Italia. Ricordo, tra tante altre sbiadite immagini, un grande contingente di soldati con mezzi bellici, provvisoriamente dislocati nel paese, e persino nella sua piazza, in attesa – ci dissero – di partire per punti strategici di combattimento non resi noti.

Durante la loro sosta in Atripalda, con quei nostri militari fu naturale e gradito fraternizzare ed inevitabile il fiorire anche di qualche innocente storia amorosa.

Fu questo il caso di quella leggiadra ragazza, sensibile e di buoni sentimenti, ospitata all’epoca dalla mia famiglia come una figlia maggiore, affettusamente. Lei soleva condurre me, di vari anni più piccolo, in brevi uscite per il paese, avendo cura della mia incolumità.

E proprio in una di queste occasioni incontrammo, fermo come in attesa, all’angolo di un vicino fabbricato, un giovane militare, che dai fregi sulla divisa mi sembrava un graduato. Era timido, gentile, riservato e diceva alla mia accompagnatrice parole che mi sembrarono di commiato, essendo arrivato l’ordine, a tutto il loro corpo armato, di immediata partenza da Atripalda. Ricordo di un breve silenzio, che mi apparve di commozione. Istintivamente chiesi di salutare anch’io quel “soldatino”, avendo finalmente capito che lui era il “fidanzato” della nostra ragazza e che quella poteva essere l’ultima volta che ci saremmo incontrati.

Svanì ben presto quella cara immagine, tuttavia rimasta bene impressa nella mia memoria di bambino. Nei giorni che seguirono ebbi la gioia di ricevere da quel nostro soldato, tramite la Posta militare, una sua cartolina di saluti dal fronte, che mi emozionò tanto. Dopo breve tempo, provai, per la prima volta, a scrivergli una lettera, anche su suggerimenti della mia Maestra della Scuola elementare e forse anche per disposizioni del regime dell’epoca, intese a dare così sostegno morale ai nostri combattenti in quei difficili momenti.

Nella mia “letterina” al mio amico soldato dicevo, tra l’altro, “Scrivimi sempre perché mi fa piacere”. Gli auguravo di tornare presto “con la nostra bella vittoria” che avrebbe dato a “tutti i popoli la sospirata pace”!. Gli rappresentavo i pianti della sua ragazza, che era preoccupata per il suo prolungato silenzio, sentimento condiviso anche dei miei genitori e dalle parole di mia padre, che diceva sempre che dopo la guerra quei due giovani si sarebbero sposati ed avremmo fatto una bella festa…..

Ma purtroppo, ancora per la prima volta, mi vidi anche restituire quel mio scritto, un po’ stentato, che pure avevo redatto con impegno su un foglietto strappato dal mio quaderno a righi. Sulla busta si leggevano neri timbri di numeri e date, nonché la dicitura (normale per quell’epoca) “verificato per censura” e “al mittente”, con sopra la tremenda motivazione, a matita bleu, “Disperso”!.

Sapevamo tutti che ben altro, e molto più triste, era il vero significato di questa eufemistica dicitura, e che cosa volesse davvero dire “disperso” sul gelido fronte di guerra.

Da allora ho accuratamente conservato quella mia lettera e quella busta, ormai sdrucita dal troppo tempo; e così posso ora rileggerla con immutata commozione.

Ripenso al fugace incontro di quella sera in Atripalda tra quei due giovani innamorati, che doveva essere un addio e mi ritorna in mente sulla colonna sonora di quella triste canzone dell’epoca…..”O trombettiere, stasera non suonar/una volta ancora la voglio salutar/Addio piccina, dolce amor,/ ti porterò sempre nel cuor/con me, Lilì Marlen/ con me Lilì Marlene!”

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