Appunti sul congresso del Pd irpino
Ieri sono state presentate le liste dei candidati al congresso provinciale del Partito Democratico irpino convocato per fine marzo. Negli ambienti politici, ma anche in larga parte dell’opinione pubblica, c’è attesa per questo appuntamento, almeno per tre ragioni.
La prima è che, nonostante la disaffezione crescente verso i partiti, in Irpinia resiste ancora l’antica abitudine di nutrirsi di “pane e politica”. Forse c’entrano poco le idealità e le ideologie, molto più probabilmente è perché da queste parti il pane (abbondante) per i “prescelti” è uscito soprattutto dal forno della politica: fatto sta che qui la “militanza” è diffusa in misura decisamente superiore alla media nazionale, anche al netto del consistente numero di iscrizioni fasulle al Pd prima scoperte e poi ammacchiate (nientepopodimeno che) dallo stesso Nazareno.
La seconda ragione è che in provincia di Avellino non si riesce a fare un congresso “regolare” del Pd da un bel po’ di tempo: e meno male che il Pd è il partito politico meglio strutturato in Irpinia come nel resto d’Italia. Figurarsi se fosse stato una cosa, ad esempio come il M5S, dove non si capisce se poi, nella realtà, uno vale “Uno, nessuno e centomila”, e dove sarebbe impresa pressoché impossibile trovare un pirandelliano “Vitangelo Moscarda” dotato – non della massima – ma almeno della minima “autoconsapevolezza” sufficiente per comprendere quanto sia politicamente immaturo, vanesio e inconcludente.
La terza ragione è che un congresso di partito è pur sempre un evento, e purtroppo da queste parti nessuno produce consimili eventi oltre al Pd: né a sinistra, né a centro, né a destra. Tutt’al più, da queste parti, ci si nomina leader di partiti, di movimenti o di gruppi che in qualche modo e misura hanno parvenza politica. Si fa meglio perfino nei condomini. Per cui, a ragion veduta, il congresso provinciale del Pd è un evento che spiega il clima di attesa.
Ora, diciamolo subito: questo imminente “evento” del Partito Democratico è già bell’e definito in tutte le sue espressioni, soprattutto in quelle – chiamiamole così – somatiche. Sappiamo che il futuro segretario avrà la faccia di Nello Pizza, il presidente la faccia di Gerardo Capodilupo; e via via ci sono tante altre facce pesate con il bilancino del farmacista per dare la giusta rappresentanza negli organismi di partito alle varie componenti Pd.
Non c’è da leggere nulla di nuovo e di strano in questa circostanza. Si è scelto di fare un congresso unitario e forse, anzi certamente, alle condizioni date e coi tempi che corrono, la soluzione potrebbe addirittura rivelarsi saggia. Chi ha buona memoria ricorderà che anche nella Veccia, Grande Dc si facevano spesso e volentieri congressi unitari decisi a tavolino: tanti rappresentanti a te, tanti a quell’altro e all’altro ancora, e il gioco era fatto.
La differenza tra quei congressi unitari e quello che sta per celebrarsi nei tempi che viviamo è che, allora, si discuteva per settimane e mesi dei problemi esistenti e dei temi emergenti, per poi elaborare proposte che diventavano tratti identitari stessi del partito. Oggi, tutt’al più, il confronto finisce a tarallucci e vino ancor prima di cominciare. Nessuno l’abbia a male, ma la differenza sostanziale tra allora ed ora è la qualità della classe dirigente politica.
Tuttavia, se questo passa il convento, bisogna accontentarsi. Anzi, va riconosciuto che è già stato fatto un gran passo avanti concordando – le diverse fazioni in campo – che oggi è indispensabile mettere da parte le guerre, che serve pace: bastano e avanzano, anche in Irpinia, il Virus ancora in circolazione e i lampi, seppure a grande distanza, delle ciniche bombe di Putin.
Eppure, nonostante tutto, un segnale importante potrebbe arrivare dal congresso Pd: se proprio non ce la fanno, i capi e capetti di ieri e di oggi, ad impegnarsi sui temi d’una transizione che non riguarda soltanto il Digitale e la Sostenibilità, ma è anche – forse soprattutto – culturale, sociale, politica e morale, che almeno si sforzassero di evitare fibrillazioni nel governo delle istituzioni locali, dal Comune capoluogo agli enti sovracomunali. Ascrivere alla propria fazione politica un sindaco od anche soltanto un consigliere in più, produrre crisi che conducono a gestioni commissariali, usare il potere politico per soddisfare ambizioni personali e non per il bene comune, sono tutte azioni che concorrono a far disperdere in questa provincia parte rilevante delle grandi opportunità di sviluppo offerte dal Pnrr. Sarebbe un delitto consumato sulla pelle già martoriata della nostra gente. Sarebbe un imperdonabile comportamento di criminalità politica.
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