TI CONOSCO, MASCHERINA!
Quasi due anni del “quotidiano” presidio anti Covid
Ormai sono quasi due anni che ricordarsi della mascherina, prima di uscire di casa, è diventato un rito necessario e indispensabile insieme a fornirsi di: documenti, cellulare, portamonete e chiavi di auto e abitazione.
L’uso obbligatorio, a dire il vero, lo era già dall’aprile del 2020 ed era indifferente per ogni tipologia di mascherina, dalla chirurgica alla più performante (fino al 98,4 % di protezione) FFP2.
Dopo l’arrivo, anche da noi, della variante Omicron e il forte incremento dei contagi Covid, i controlli e le sanzioni, per chi ne risulta sprovvisto, si sono fatte ancora più stringenti e pesanti, raccomandando l’uso esclusivamente della FFP2.
Più che parlare della utilità sanitaria, ormai acclarata, nonostante gli sparuti irriducibili samurai di Saipan (ovvero: negazionisti a oltranza) oggi parliamo dell’aspetto relazionale che il suo utilizzo determina in pubblico nelle relazioni interpersonali. E dal momento che io di scienze cognitive mastico poco – se non quel tanto che 40 anni di insegnamento hanno potuto “praticamente” fornirmi – mi servirò di un articolo di Le Scienze, pubblicato qualche mese fa da due ricercatori del settore: la dott.ssa Federica Sgorbissa, giornalista scientifica e il dott. Marco Viola, collaboratore al progetto europeo FACETS sulla percezione e rappresentazione dei volti nonché autore del libro, Come Funzionano le Emozioni.
Scusate, abitualmente denudavo il viso
Il volto è il nostro biglietto da visita quando ci presentiamo all’attenzione di un altro.
La ricchezza informativa di un volto umano è stata drasticamente ridimensionata dall’epidemia di mascherine degli ultimi tempi?
Per comprenderlo si sono studiati le conseguenze cognitive, emotive e sociali dell’esposizione a volti semicoperti e al tempo stesso si è cercato di comprendere quali soluzioni alternative alla classica mascherina possono mitigare l’impatto, mantenendo tutte le prerogative sanitarie.
I volti possono dirci molte cose di una persona: il genere, l’età, l’etnia e, non ultima, darci un’idea del suo carattere. Inoltre con l’osservazione del viso siamo pure particolarmente bravi ad attribuire i giusti stati emotivi, anche negli sconosciuti, grazie alla universalità di certi movimenti muscolari; in particolare dei muscoli della bocca.
In molti casi, infatti, le contrazioni emotivamente connotate nei volti altrui producono un “contagio emotivo”. Questo fenomeno è verosimilmente mediato dai neuroni specchio – cellule nervose situate nella corteccia cerebrale – che si attivano in egual modo quando osserviamo un’azione o quando la compiamo noi stessi.
Da più parti è stato suggerito che questa mimesi motoria, oltre a facilitare il riconoscimento delle emozioni degli altri, possa essere un fondamento dell’empatia, la nostra capacità di leggere gli stati emotivi degli altri e magari farli nostri.
Attenti alle corrette valutazioni
Parliamo, sia chiaro, di stati emotivi transitori, non certo dei tratti caratteriali profondi e duraturi.
Questa ambizione era alla base della famigerata fisiognomica. La messa al bando, come pseudoscienza, della fisiognomica – come ad esempio quella criminale – di Lombroso con il pregiudizio sull’ampiezza della fronte o la prominenza del mento, è ormai accettazione consolidata.
Tuttavia alcuni psicologi sociali tra i quali lo psicologo bulgaro Alexander Todorov che ha studiato per vent’anni tali risultanze interpretative non ha potuto fare a meno di evidenziare un sorprendente grado di accordo inter-soggettivo di questi giudizi. Nel libro: “Valutazione del Volto. L’Irresistibile Influenza della Prima Impressione” documenta in modo estensivo come fattori quali il grado di affidabilità, attribuito istintivamente a un volto, influenzino – in modo tanto significativo, quanto irrazionale – l’esito di elezioni, processi in tribunale, transizioni economiche.
Le emozioni in culla
La nostra specializzazione per i volti emerge molto presto. Già i neonati attribuisco configurazione percettiva a qualsiasi cosa assomigli a un volto. Tanto per fare un esempio banale, servendomi solo di pochi segni d’interpunzione su una tastiera si configurano le cosiddette emoticon – basterà metterle in verticale –
: -) oppure
: – ( e ancor più
: – )) e : – ((
configurano un viso allegro e triste, o molto allegro e molto triste.
Un altro è : – o
a indicare meraviglia.
Provate ora a limitarvi ai soli due punti, coprendo il resto – come da mascherina – annullerete qualunque espressione.
Giorgio Vallortigara, studioso del Centro Interdipartimentale mente/cervello (CIMEC) di Rovereto, ha dimostrato quanto questa attenzione selettiva è riscontrabile già a poche ore dalla nascita.
Simili stimoli simil-facciali producono risposte neuronali in alcune aree del cervello dei neonati corrispondenti grosso modo a quella che negli adulti è chiamata area facciale fusiforme, una parte di corteccia specializzata nel riconoscimento dei volti e la cui lesione sembra associata alla prosopagnosia: la difficoltà a riconoscere volti anche familiari, e a volte persino se stessi allo specchio.
L’uomo che non si riconosceva
Di questa affezione soffriva, ad esempio Oliver Sacks, famoso neurologo inglese, nonché dotato di forte spirito di umorismo, tanto che in un articolo apparso sul New Yorker del 2010 si divertiva a descrivere un nutrito elenco di figuracce che aveva collezionato nell’incontrarsi con gli amici.
A questo proposito, mio cugino medico Gerardo P. mi consigliò, anni fa, la lettura del libro di Sacks : L’Uomo che Scambiò Sua Moglie per un Cappello. Estendo, il saggio consiglio, anche a Voi.
Assodato quindi che l’uso della mascherina limita le espressioni emotive e in qualche caso, per fortuna raro, conoscitive, vediamo adesso altre conseguenze e rimedi.
La mascherina oltre dare un senso di fastidio per la difficoltà di respirazione, danno sudorazione in estate e appannamenti di occhiali in inverno specie per un quattr’occhi come me. Sempre personalizzando, a me gli elastici tirano pure le orecchie in avanti oltre misura…sarà per il mio gran bel faccione.
Tra queste, però, la difficoltà maggiore è la comprensione del linguaggio.
Spesso per farci sentire la scostiamo compromettendo il contenimento del droplet (dispersione delle goccioline di saliva).
La compromissione delle onde acustiche, a seconda del materiale di lavorazione, avviene principalmente sulle frequenze alte. Ma un elemento essenziale, ai fini della comprensione, è il movimento della bocca del parlante. Questa “cecità labiale” è particolarmente grave nei soggetti ipo-o non udenti, per i quali i movimenti della bocca costituiscono l’unica possibilità per intuire il linguaggio orale, senza il coadiuvo del linguaggio dei segni.
Benemerenze trasparenti
Irene Coppola, sarta salernitana, ha cucito e donato centinaia di mascherine semitrasparenti ed è stata insignita nel 2020 del titolo di Cavaliere della Repubblica.
Il generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario speciale per l’emergenza Covid-19, insieme alla ministra per le disabilità Erika Stefani, hanno commissionato 7 milioni di mascherine trasparenti a un’azienda marchigiana da distribuire alle scuole con classi di alunni non udenti.
Ma i vantaggi di simili mascherine non si limitano alla diffusione del linguaggio. La mascherina trasparente serve soprattutto a prendere atto dello stato emotivo dell’interlocutore. Ci permette di sintonizzarci con esso e di interagire in modo più fluido.
Questo tipo di empatia ormai è riconosciuta come essenziale nelle scuole nella interrelazione con ogni tipologia di allievo. E nemmeno stupisce che i pazienti percepiscano come più empatici i chirurghi che indossano le mascherine del tutto trasparenti rispetto a quelle classiche: come rivela uno studio pubblicato nel 2020 su “JAMA Surgery” da Ian Kratzke e altri scienziati delle Università del North Carolina e dello Iowa.
Il sospetto che l’uso diventi sistematico
Con il progredire della campagna di vaccinazione e con la riduzione di complicazioni per le varianti ci si augura che questi dispositivi prima o poi diventino sempre meno necessari o limitati ad ambienti molto ristretti.
Riconosciamo tutti, però, come in parte per il lockdown, ma anche per l’uso delle mascherine in pubblico, la diffusione di raffreddori e influenza stagionale è stata, nel 2020, molto ridotta.
Non è detto perciò che questi utili presidi spariscano rapidamente.
Nelle città a forte tasso di inquinamento atmosferico e particelle sottili – specie nelle giornate nebbiose che ne impediscono la dispersione – l’uso della mascherina è fortemente consigliata.
In alcuni paesi, da quando si è diffusa l’epidemia di SARS, all’inizio del millennio, la popolazione non le ha mai abbandonate.
Ma c’è di più: in un articolo su “Signs & Media” Massimo Leone, professore di semiotica alle Università di Torino e Shanghai, racconta come in quest’ultima città “alcuni allievi e soprattutto studentesse, mi hanno raccontato che indossavano volentieri le mascherine, anche al di là dei luoghi affollati, perché proteggono non solo da virus e aria contaminata, ma anche da sguardi indesiderati”.
Una sorta di burqa a metà, modernamente attualizzata.
Un’altra indagine, fatta intervistando i cittadini di San Francisco, ha scoperto proprio questo: alcuni vorrebbero continuare ad usarle perché è come “un mantello dell’invisibilità”.
Lo auspica anche, fra gli altri, lo storico della medicina Vittorio Sironi, che al tema dedica un libro: Le Maschere della Salute (Carocci, 2021) e ritiene che un loro uso strategico e selettivo possa rivelarsi un aiuto prezioso per combattere anche le pandemie del futuro.
Per quest’ultimo auspicio, possiamo solo sperare – da profani, ma confidenti nella Provvidenza – che si riveli in futuro solo una professionale e preoccupata ipotesi, magari non necessaria.
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