NE-AMICIZIA

Si narra che, in un tempo indefinito, in Grecia, esattamente ad Amicle in Laconia, vivessero due giovani amici: Eispnelas, il maggiore, e Aitas, il minore. Questi pur frequentando abitualmente il tempio di Apollo, abitando fuori dal villaggio, mancavano spesso alle feste delle Lacinzie [celebrazioni estive in onore del Dio Apollo e del suo giovane amico Giacinto]. Una volta, mentre erano fermi davanti all’altare del Dio Apollo, spinti da una forza sconosciuta, formularono in cuor loro la stessa, identica preghiera: “Apollo, divino Kouros, che proteggi ed ascolti i giovani che a te si rivolgono con cuore sincero, sii propizio a questo mio caro amico ed a me e fa sì che la nostra amicizia non venga mai cancellata da Kronos che tutto divora. Ti scongiuro, splendente Signore dell’Armonia, ascolta la mia preghiera!” e, così dicendo, si abbracciarono. In quel preciso momento il Dio ne rimase così profondamente commosso che decise di esaudirli e vennero trasformati in un meraviglioso ulivo [pianta che prima d’allora non esisteva] già carico dei suoi frutti. Alcuni mercanti ebrei, venuti per la festa dal vicino porto di Gizio, vedendo quel prodigio, esclamarono: “El aia…!”, che nella loro lingua significa “È stato Dio”. Gli abitanti del luogo pensarono bene di usare questa esclamazione ΄ελαία per indicare il nuovo albero che divenne segno di benedizione, di benessere, di pace e di cui gli uomini non avrebbero mai più potuto fare a meno, proprio come l’amicizia , un sentimento supremo, altruistico, disinteressato, non inquinato da nessun elemento materiale né da passioni degradanti come la gelosia. Ora, se proviamo a fare un balzo nel presente e sfogliamo velocemente le pagine della nostra vita ci renderemo conto, giocoforza, come questo vocabolo (amicizia) spesso venga usato e abusato per identificare qualcosa che rispetto al sentimento originario non ha nulla a che spartire. Questo perché se esiste quel legame che ha unito indissolubilmente, in un solo fusto, i due ragazzi esiste sicuramente il suo contrario. Esiste la falsità che indossa una maschera d’argilla, con tutte le sembianze dell’amico/a, per indurre in errore ed essere sic et simpliciter soltanto ipocrisia, inganno. È quella che io definisco ne-amicizia . Rispetto ai nemici, a quelli che dichiaratamente sappiamo essere i nostri oppositori o avversari, i ne-amici sono qualcosa di più e di altro, sono la proiezione simbolica dell’affinità, della confidenza ma sotto mentite spoglie. È un ologramma che non ha alcuna concretezza, se proviamo ad allungare una mano non riusciremo a toccarla anzi avvertiremo una sorta di gelo, intenso, profondo, che non darà scampo ai nostri poveri sentimenti. Questi personaggi (in cerca d’autore) non comprendono né comprenderanno mai cosa sia il bene perché lo indossano come un vestito domenicale, soltanto nei giorni di festa; non ne avvertono l’essenza, quella intima commistione che rende gli amici grati per le gioie, senza alcun retro pensiero, e attenti, empatici, di supporto direi, nei momenti di dolore e smarrimento; non sanno neanche cosa voglia significare ma si arrogano il diritto di farne scempio mettendo in scena il gioco degli inganni, staccando e maciullando finanche l’ultimo lembo del cuore di chi si fidava di loro. Eppure la ne-amicizia , in origine, ha tratti dolci, delicati, apparentemente sinceri, parole precise, a volte avvolgenti, tale che nessuno avrebbe mai scommesso sulla sua involuzione o che sarebbe diventata una megera, una che mangia dalle carogne della sofferenza. Vi svelo un segreto: il suo cibo prediletto è il narcisismo, condito di rancore e, quella bocca, apparentemente dipinta da un trucco accattivante o estesa a 32 denti di sorriso smagliante, maschera fauci sempre più affilate e velenose. Così, in un giorno qualunque, mentre la vostra vita, magari, vi passava davanti come un treno in corsa, quando la dispensa dei momenti positivi non basterebbe nemmeno per dare un piccolo passo in avanti, nel momento della devastazione o nel momento del maggior bisogno, eccola svelarsi in tutta la sua arrogante impostura. Come un velo di pelle che si liquefa in un secondo e svela il corpo, la sembianza di un mostro, così lei si riappropria, risucchiandole e fondendole, delle sue adorate sorelle: cattiveria, gelosia (finora tenute ben nascoste). E non è finita qua, un altro passo indietro e ribalta il “candido altruismo” che vantava in “sporco egoismo”. Del primo se ne libera come un cane sull’autostrada, lo lascia in balia dei pericoli e degli eventi. E noi? Povere vittime, per alcuni versi inconsapevoli, spesso cerchiamo appoggio proprio nel tempio di Kronos, che tutto divora. In quel palazzo che sembrava una reggia meravigliosa e che, come avvolta da un sortilegio, mostra tutta la sua decrepita consistenza strutturale. A volte non si trovano le parole per descriverla ma so di per certo, perché l’ho conosciuta, che fa male. Essersi illusi di aver trovato l’amica o l’amico per eccellenza e poi guardarsi le mani e vederle trafitte da chiodi spessi e arruginiti, perché la ne-amicizia ci mette in croce, ci fustiga senza ritegno, ci lascia increduli, imbambolati. La beffa è che solo nell’atto finale dell’agonia comprendiamo di essere stati semplicemente usati. Forse quello è il colpo di grazia che chiude lo scenario paradisiaco e lo muta, in mezzo secondo, in apocalittico. Allora ci troviamo a maledire il giorno in cui abbiamo deciso di farla entrare nella nostra vita, possibile essere stati così stupidi? Non esistono ragioni che tengano. La purezza di un sentimento antico come l’amicizia al suo “immondo” passaggio collassa. È un terremoto che sventra, dalle fondamenta, la nostra casetta emozionale (spesso già in bilico sul mondo). Per questo quell’albero di ulivo, attaccato da un parassita, ha perso le foglie, i frutti ed è tragicamente invecchiato. La sua linfa grezza prende veleno dal terreno generando l’essenza del delirio. Non più l’oro giallo ma un liquido nero, corrosivo, maleodorante che altro non genera se non un nuovo e più intenso dolore. Si dice che è nei momenti di maggior bisogno, che è nella tragedia che si vedono i veri amici. Potrebbe anche essere ma non lo sapremo mai veramente. Alcuni di noi portano non solo nelle mani ma anche negli occhi, come ganci nell’iride, il passaggio distruttivo della ne-amicizia . A causa sua molti smettono di credere che esista, perché in realtà esiste ma è rarissima, l’amicizia .

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