PECUNIA NON OLET… MA, AL CONTEMPO, SIAMO SICURI CHE PROFUMI SEMPRE
– Sul finale del film La Vita è Meravigliosa di Frank Capra, quando l’angelo Clarence Odbody, venuto in terra per guadagnarsi le ali e distogliere George Bailey dall’insano gesto di suicidarsi per un ammanco in banca, gli chiede come può aiutarlo, questi risponde:
“Puoi aiutarmi solo se hai portato con te 8000 dollari”.
L’angelo, rammaricato: “No, non posso, non usiamo denaro lassù”.
“E’ vero, già, dimenticavo, invece quaggiù non se ne può fare a meno, amico. L’ho capito troppo tardi!”
– E già. Proprio del denaro, noi realisti e non sognatori come il regista italoamericano – troppo “poco umani “per sperare un giorno di guadagnarcele, le ali – sappiamo decisamente di non poterne fare a meno.
Ha quasi una funzione primaria, vitale: come il mangiare e il bere, tanto che proprio queste due forme di sopravvivenza ne risultano strettamente collegate.
Mi riferisco, chiaramente, alla disponibilità economica minima per poter stare al mondo, non a quella di accumulo; di questa non ne avrei né la competenza né tanto meno esperienza diretta per poterne parlare.
Ma è sempre stato così, nella storia dell’umanità; e se non puzza, il denaro, come si giustifica l’altrimenti detto: lo sterco del diavolo ? Ripercorriamone brevemente il cammino.
– All’inizio c’era il baratto.
I primi cacciatori raccoglitori, agli albori dell’umanità, condividevano beni e servizi attraverso una economia fatta di scambi, regolati da favori e obblighi. Si praticava per lo più tra parenti o piccoli gruppi. Presupponeva la reciprocità. Chi donava si aspettava di ricevere in cambio qualcos’altro. Con la Rivoluzione agricola ci si cominciò ad aprire anche a piccoli baratti con l’esterno, quando magari nel ristretto villaggio si presentava la necessità di approvvigionarsi di beni non autoprodotti.
Con la nascita delle città e dei regni, con il miglioramento delle infrastrutture e dei trasporti si svilupparono maggiori specializzazioni e si realizzarono maggiori scambi con l’esterno.
– Questo tipo di economia, però, fondata su favori ed obblighi non funziona più quando grandi numeri di estranei cercano di cooperare. Il baratto è efficace solo quando prevede lo scambio di una gamma limitata di prodotti. Non può costituire la base per una economia complessa. Lo scambio tra un produttore di mele che ha bisogno di un paio di scarpe e un calzolaio, ad esempio, presuppone che entrambi necessitino delle rispettive merci di scambio. Cosa succederebbe se al calzolaio non piacessero le mele o per lo scambio ne servissero tante che finirebbero per deperire nel tempo.
Oltretutto nell’economia del baratto, ogni giorno un calzolaio o un coltivatore di mele devono imparare da capo i prezzi di decine di prodotti. Fatti due calcoli: se nel mercato vengono commerciati 100 differenti beni, acquirenti e venditori devono conoscere 4.950 differenti rapporti di scambio. Se i beni sono 1000, acquirenti e venditori devono districarsi tra 499.500 differenti rapporti di scambio.
Ve l’immaginate l’immane lavoro del commercialista…
– Nelle civiltà attuali due forme di baratto hanno lasciato tracce indelebili.
Un sopravvissuto di Auschwitz ha portato alla conoscenza del mondo quale aberrante baratto avvenisse tra i reclusi. Sigarette che sostituivano i soldi. Il prezzo di ogni articolo era espresso in sigarette. In periodi regolari, quando i candidati alle camere a gas arrivavano nel lager a scadenze regolari, questo era il tariffario: una pagnotta dodici sigarette, un pacchetto di margarina da trecento grammi trenta; da ottanta a duecento sigarette, un orologio; una bottiglia di alcol, quattrocento sigarette.
Un sistema di baratto centrale in cui si raccoglievano i prodotti di coltivatori e produttori specializzati e li si distribuivano a coloro che ne avevano bisogno si è cercato di realizzarlo nelle politiche sociali dell’ex Unione Sovietica. Sistema di economia differenziato e meritevole in sé, se non fosse accaduto che il principio sul quale si fondava: “Ciascuno lavora secondo le sue capacità, e riceve secondo i propri bisogni” si è tradotto per la stolidità dell’uomo in: “Ciascuno lavora quanto meno riesce a farlo e riceve quanto più riesce ad arraffare”.
– Cauri, sila, siclo, denarius e millares
Il denaro ha avuto diverse forme e materiali nelle varie società umane succedutesi nella storia. Tutte però hanno avuto un denominatore comune. Creare una nuova realtà intersoggettiva che esista solo nell’immaginario collettivo.
Denaro non vuol dire necessariamente monete e banconote. Il denaro è qualsiasi cosa le persone siano disposte a utilizzare per rappresentare sistematicamente il valore di altri oggetti, allo scopo di scambiare beni e servizi. Le prime monete non avevano nemmeno la forma di un pezzo standardizzato di metallo con una sigla o effigie impressa. Le popolazioni dell’Africa insieme a quelle dell’Asia meridionale, dell’Asia orientale e l’Oceania hanno utilizzato per secoli le conchiglie di ciprea – del genere cauri -.
Nell’ Uganda britannica, all’inizio del Novecento, le tasse potevano ancora essere pagate in conchiglie di ciprea.
– Nelle prime forme di denaro le popolazioni non aveva molta fiducia per cui fu necessario definire come “denaro” qualcosa che avesse un valore intrinseco effettivo. La misura d’orzo dei Sumeri è un buon esempio. Si cominciò ad utilizzarla più o meno nello stesso periodo in cui nacque la scrittura – intorno al 3000 a. C. – Quantità fisse di grani d’orzo erano usate quali misure universali per valutare e scambiare ogni bene e servizio: olio, capre, trasporti, suppellettili e addirittura acquisto di schiavi. La misura più comune era il “sila d’orzo” equivalente al contenuto di un litro. Un bracciante guadagnava 60 sila al mese, un capomastro poteva arrivare a guadagnare fino a 2000, 5000 sila al mese.
– Il vero passo avanti nella storia della moneta, come la concepiamo oggi, avvenne sempre in Mesopotamia, nel III millennio a. C. con l’avvento del “siclo” d‘argento, non una vera e propria moneta di conio ma un pezzo d’argento del peso di 8,33 grammi. Il Codice Hammurabi stabiliva il suo valore nelle varie attività commerciali di interscambio. Nell’Antico Testamento si racconta che Giuseppe fu venduto dai fratelli agli ismaeliti per 20 sicli d’argento; vale a dire per 166 grammi d’argento – lo stesso prezzo di una schiava – dopotutto era un giovane.
A differenza del sila d’orzo, il siclo d’argento non aveva un valore intrinseco: non si poteva mangiare o bere. Non serviva nemmeno a costruire aratri o spade perché – come l’oro – era troppo morbido ma cominciò ad essere usato per confezionare gioielli, corone e altri simboli di prestigio: beni di lusso che i membri di una data cultura associano ad un elevato livello sociale. Il loro valore era puramente un costrutto culturale.
– Le prime monete coniate fecero la loro comparsa intorno al VI sec. a. C. sotto il dominio del re Aliante di Lidia, nell’Anatolia occidentale. Queste monete d’oro o d’argento avevano oltre ad un peso fisso, il marchio del proprio regnante. La firma dell’autorità politica che ne garantiva l’autenticità e il valore. Nasceva il sistema monetario lidio in vigore ancora oggi. La firma e i caratteri del marchio sancivano una certezza: “Io Re Tal dei Tali ti do la mia personale assicurazione del valore di quest’oggetto, chiunque provasse a contraffarlo offenderebbe la mia reputazione e verrebbe punito con la massima severità”.
Finché il popolo credeva nel potere e nell’integrità del sovrano, credeva anche nelle sue monete.
– La fede nella moneta da conio – il “denarius” dell’antica Roma – era così forte che il suo valore, con l’apposto marchio di garanzia dell’imperatore, nel I sec. d.C., consentiva lo scambio commerciale fin con la lontana India dove il denarius veniva regolarmente accettato.
Il termine denarius divenne il nome generico delle monete. I mussulmani arabizzarono questo nome in “dinar”. Oggi il dinar è ancora il nome della valuta ufficiale di Giordania, Iraq, Serbia, Macedonia, Tunisia e molti altri paesi.
La Cina sviluppò un sistema monetario leggermente diverso, basato su monete di bronzo e lingotti d’argento e d’oro senza marchio. Tuttavia il valore dei metalli oro e argento – ormai divenuto transnazionale e transculturale – mise in condizione i due sistemi monetari di trovare subito un comune accordo per relazioni finanziarie e commerciali.
Di conseguenza il denaro divenne un sistema monetario di mutua fiducia, e non un sistema qualsiasi riconosciuto da taluni e da altri no. Il denaro era ormai un sistema universalmente accettato. Il fatto che l’altra persona credesse in una conchiglia di ciprea, in un siclo o nel denarius rafforzava la fiducia in questi mezzi di scambio, anche se per il resto i due opposti contraenti si odiavano, si disprezzavano o trovassero inferiore uno la cultura dell’altro.
– Ad avvalorare questa profana alleanza tra le popolazioni, in onore del dio denaro, c’è l’esempio del periodo susseguente alle guerre crociate. Dopo che cristiani e mussulmani se l’erano date di “santa” ragione, distruggendo villaggi, radendo al suolo intere città, uccidendo migliaia di persone e maledicendosi a vicenda in difesa della maggior gloria di Cristo o di Allah, ripresero continuatamente i rispettivi scambi commerciali.
I cristiani per sottolineare le loro vittorie cominciarono ad emettere sul mercato monete d’oro e d’argento con l’effigie della croce e il ringraziamento a Dio per il suo aiuto nella lotta agli infedeli. Al tempo stesso, accanto alla nuova valuta i vincitori coniarono anche un altro tipo di monete: i “millares” che portavano un messaggio piuttosto differente. Erano dotate di una fluente iscrizione araba che dichiarava: “Non c’è Dio al di fuori di Allah, e Maometto è il suo Profeta”. Anche i vescovi cattolici di Melgueil e di Agde autorizzarono l’emissione di queste monete mussulmane e i cristiani, timorati di Dio, non ebbero difficoltà ad usarle. D’altro canto, anche i governanti mussulmani che invocavano la jihad contro gli infedeli cristiani erano contenti di incassare le tasse in monete che si appellavano a Cristo e alla Madonna.
– Il credo monetario
Abbiamo visto come cristiani e mussulmani non riuscivano ad essere d’accordo sulle credenze religiose e sulle loro implicazioni politiche ma riuscissero a concordare un credo monetario.
Nel libro: Sapiens Da Animali A Dei di Yuval Noah Harari, ed. Bompiani – dal quale ho attinto per riportare alcuni concetti, non essendo io un economista – si legge: “laddove la religione ci chiede di credere in qualcosa, il denaro ci chiede di credere cha altri credano in qualcosa”.
Sia come sia il denaro è l’apogeo della tolleranza umana. Il denaro è il solo sistema di fiducia creato dagli umani che sia stato capace di scavalcare quasi ogni divario culturale.
Il denaro si basa su due principi universali: la convertibilità e la fiducia universale.
Milioni di estranei per migliaia di anni hanno potuto cooperare con efficacia almeno per quanto riguarda il commercio e le attività lavorative.
Ma come tutti i principi apparentemente benigni anche il denaro nasconde i suoi aspetti negativi.
Le comunità umane si sono sempre basate sulla fede in cose che non hanno prezzo come l’onore, la lealtà, la moralità, l’amore. Principi che stanno al di fuori del mercato. Li potremmo chiamare sacri se non tornassimo al concetto di religione.
Anche se ormai tutto ha un prezzo – si pensi a quando si suggerì ai greci di vendere il Partenone per salvare l’integrità monetaria della comunità europea – non tutto è lecito al cospetto della coscienza personale e collettiva.
Nella storia alcuni genitori si sono trovati a vendere un proprio figlio per poter sfamare gli altri. Esaù accettò di vendere il proprio figlio per un piatto di lenticchie. Terre tribali sono state vendute a stranieri che venivano dall’altra parte del mondo, per comprare un biglietto d’ingresso nell’economia globale.
Il denaro regola e sostiene molto spesso i rapporti interpersonali tra gli individui. Senza parlare di classi sociali, è diffuso l’atteggiamento che se lo straniero o il vicino resta senza monete, la nostra fiducia si esaurisce.
“La storia dell’uomo legata al denaro pertanto è un ballo piuttosto delicato.
Con una mano abbiamo distrutto le dighe delle comunità che hanno tenuto a bada, per lungo tempo, il movimento del denaro e del commercio; con l’altra dobbiamo costruirne di nuove, per proteggere la società, la politica, la religione e l’ambiente dall’asservimento alle forze del denaro e del mercato”.
– Chiudiamo col solito aneddoto: quando Hernan Cortés, nel 1519, con i suoi “conquistadores” invase il Messico, principalmente, insieme ad altre razzie fece piazza pulita di tutto l’oro che i messicani usavano esclusivamente per fabbricare monili e abbellire altari, non certo per scambiare con valore di denaro. Quando i nativi chiesero a Cortés il perché di questa passione per l’oro, il conquistador rispose:
“ Perché io e i miei compagni soffriamo di una malattia del cuore che si può curare soltanto con l’oro”.
A distanza di cinque secoli possiamo confermare che per questa sindrome – altro che pandemia – siamo ancora alla ricerca di una cura.
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