Se il Centrosinistra a trazione Pd è (ad esempio) il modello irpino
Lo scrivo per i soliti, simpatici Pierini presenti in ogni angolo dell’Universomondo e che di certo abbondano nelle regioni e nelle province molto politicizzate come la Campania e l’Irpinia: faccio qui di seguito quattro affermazioni che, naturalmente, sono altrettante opinioni, ergo per definizione opinabili, e perciò stesso senza alcuna pretesa d’apparire verità rivelate.
La prima: al netto del livello altissimo d’astensione, che dovrebbe far riflettere non poco i nostri politicanti di prima e ultima fila, il centrosinistra ha vinto le elezioni amministrative in Italia, in Campania e in Irpinia, non per merito del Pd e dei suoi alleati più o meno riconoscibili, ma per demerito della destre di Salvini e Meloni: ossia di due leader che per mesi si son fatti la guerra con armi para-convenzionali, non già per esprimere analisi e soluzioni diverse sui tanti problemi delle nostre comunità, bensì per acchiappare un voto in più, peraltro nelle acque torbide dei No Vax e dei No Green Pass, al fine di aggiudicarsi il primato all’interno della coalizione di centrodestra. In altre parole Salvini e Meloni hanno guerreggiato al calor bianco per se stessi, per le loro due simpatiche persone e non per il bene comune: gli elettori – quei “pochi” che si sono recati alle urne, a differenza di chi è rimasto a casa schifato – hanno ben compreso il senso di quella campagna elettorale e ne ha goduto il centrosinistra, decisamente più composto o quanto meno più accorto a camuffare le lacerazioni profonde e di più grave natura che da sempre lo caratterizzano.
La seconda affermazione è che avrebbe destino certo di aumentare il bordello politico, come se non fosse già insopportabile quello che c’è, la Grande Ammucchiata teorizzata da Enrico Letta: ovvero la riedizione dell’Ulivo stavolta corretto al rhum, cioè con la partecipazione del M5S, nondimeno quale partner privilegiato, ed esteso in un “campo largo” che va da Leu ai confini di Forza Italia attraverso Azione di Calenda e Italia Viva di Renzi. Insomma un arcobaleno di colori e tonalità contrastanti che invece del sereno dopo la tempesta disegna e promette scenari apocalittici d’ ingovernabilità.
Su questa idea pazzesca di Letta si sono già espressi negativamente Renzi e Calenda; Giuseppe Conte è apparso come il proverbiale asino in mezzo ai suoni, dimostrando ancora una volta che in politica suona senza spartito, va ad orecchio ed è inconfondibilmente stonato; Beppe Grillo ha storto il muso perché non ci sta a fare il socio di minoranza del Pd; Renzi e Calenda hanno ripetuto “O noi o i 5 Stelle”; e lo stesso ideatore del vecchio Ulivo, Romano Prodi, ha espresso non poche perplessità, facendo capire, ancorché con collaudata sobrietà, che in fatto di Botanica Enrico Letta è rimasto alle scuole elementari.
La terza affermazione è che in Campania si è risolto in un clamoroso flop l’ostentato protagonismo del Pd di Letta, dell’improvvisato Provenzano, della spocchiosa Serracchiani, e del più appropriato rappresentante della parabola evangelica degli “ultimi che saranno i primi”, ossia di quell’Orlando che costantemente ultimo per raccolta di consensi è sempre il primo ad ottenere una poltrona governativa, Mistero della Fede.
La terza affermazione bis è che mai e poi mai il centrosinistra avrebbe eletto il sindaco di Napoli se non ci fosse stata una sorta di congiunzione astrale tra due condizioni sine qua non: un candidato dello spessore culturale, manageriale, morale ed umano di Gaetano Manfredi – voluto innanzitutto da De Luca, e non da Sarracino (sapete chi è?) come ha scritto Antonio Polito sul Corriere del Mezzogiorno – e la strategia dell’alto numero di liste civiche sul modello vincente delle ultime ragionali in Campania, strategia non a caso allora e ultimamente suggerita ancora da De Luca. Il miserevole 22 per cento raccolto a Napoli dall’accoppiata Pd-M5S la dice tutta sulla bontà del matrimonio innaturale dem-grillini che i succitati Letta, Provenzano, Serracchiani e l’ “ultimochesaràsempreprimo” Orlando hanno passione e fretta di celebrare e consumare.
La quarta ed ultima affermazione è che la Terra Promessa del Nuovo Pd di Letta è un oceano di “deja vu”: agorà che non lasciano traccia, bla bla bla vecchio stile, lotte intestine alimentate da rancori personali e giammai dal confronto di idee, perpetuazione delle figure di ras locali che cooptano forma e sostanza della funzione dei circoli. In altre parole, un partito che appare e non “guida” ma “comanda” attraverso l’Oligarchia del Nazareno e che in periferia non esiste oltre il nome e i circoli fantasmi, e che indirettamente delega ogni funzione all’individualismo delle rappresentanze istituzionali locali perennemente in conflitto.
È di questi giorni – esemplificazione irpina del teatrino di centrosinistra – il duetto dei consiglieri regionali Enzo Alaia (Italia Viva) e Maurizio Petracca (Pd). Mica discutono, si confrontano, litigano o indicano soluzioni per quel po’-po’ che sta venendo a galla da Terra dei Fuochi delle Valli del Sabato e dell’Irno, o del problema Trasporti, o del rapporto della Fondazione Agnelli che dimostra il divario in aumento tra la qualità della nostra Scuola e quella delle aree del Nord, o della disoccupazione giovanile, o della crisi del comparto industriale e dell’edilizia, o del patrimonio culturale e ambientale abbandonato all’incuria, o della Società pubblica Alto Calore Servizi prossima al fallimento. Niente di tutto ciò: Alaia e Petracca duellano – Udite, Udite! – sul tema alto e nobile delle elezioni provinciali. E mica per definire un programma, un percorso, magari per organizzare una più proficua collaborazione istituzionale tra Regione, Provincia e Comuni, oppure per migliorare ciò che l’Amministrazione provinciale ha fatto finora. Macché! Il tema è “a chi tocca” la presidenza della provincia dopo che quella dell’Asi è andata a Pinco Palla, quella dell’Acs ad Asdrubale, l’altra ad Annibale e via discorrendo.
È questo lo stagno in cui sguazza il centrosinistra a trazione Pd con le facce di Letta, Provenzano, Serracchiani, Orlando: in Irpinia, in Campania, a Est, Ovest, Nord e Sud Italia. E tutto andrà bene Signora la Marchesa: il centrosinistra della Grande Ammucchiata e successiva Ingovernabilità magari vincerà le elezioni. Quinta Affermazione fuori programma: finché il centrodestra di Salvini e Meloni sarà quello che è stato alle scorse amministrative. Ma potrebbe anche cambiare. O no? Potrebbe anche accadere che, all’ennesima lavata di testa, perfino per i proverbiali Asini non saranno stati sprecati acqua e sapone. O no?
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