TRADITORI DEI PROPRI BENEFATTORI (LUCIFERO CON GIUDA, BRUTO E CASSIO). “E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE”
Nel 34° ed ultimo canto dell’Inferno, Dante e Virgilio sono pervenuti alla fine del doloroso percorso delle anime dannate; e qui si avanzano verso di essi le insegne del loro re (“Vexilla regis prodeunt inferni”, Inf., 34°, 1 ss), le cui ali Dante percepisce come quelle di un gran mulino a vento tra la nebbia o all’avvicinarsi della notte (“Come quando una grossa nebbia spira,/o quando l’emisferio nostro annotta,/ par di lungi un molin, che ‘l vento gira”, Inf., id. 4 ss.).
Qui Virgilio indica a Dante la figura di Lucifero, colui che, prima della ribellione, a Dio era il più bello degli angeli perché apportatore di luce (“al mio maestro / piacque di mostrarmi/la creatura ch’ebbe il bel sembiante”. Inf. id., 17-18) dicendo “Ecco Dite” (Inf., id., 20), parola che, dal latino “dives” (ricco), allude ad un custode delle ricchezze, che danneggiano e tormentano l’uomo sulla terra.
Lucifero fu tanto bello quanto ora è brutto, e da lui deve ora derivar ogni male, poiché egli osò ribellarsi a Dio, cui pretendeva contrapporsi e paragonarsi per la sua superbia; sì che fu precipitato dal cielo nella palude di Cocito (“lo imperador del doloroso regno, / da mezzo ‘l petto uscia fuor de la ghiaccia/; …S’el fu sì bel com’elli è ora brutto,/ e contro il suo fattor alzò le ciglia,/ben dee da lui procedere ogni lutto./ Inf., id.; 28 ss.). Infatti Lucifero, per il suo orgoglio, volle essere chiamato Dio e così divenne il suo nemico.
Dante lo discopre con tre facce (Oh quanto parve/ a me gran meraviglia/quand’io vidi tre facce a la sua testa!/Inf., id., 37 s.), una vermiglia, un’altra bianca e gialla e un’altra nera.
Queste tre facce sono state anche fatte corrispondere, per il loro differente colore, agli abitanti delle tre parti del mondo conosciuto all’epoca: Europa, Asia, Africa, a significare che nell’inferno si trovano dannati di ogni luogo della Terra (v. Del Lungo), od anche all’ira, all’avarizia ed all’accidia (v. Buti).
In questo luogo estremo, tutto è ghiaccio per il freddo che proviene dalle ali di Lucifero. In esso sono variamente immersi e puniti, in quattro zone: Caina, Antenòra, Tolomea e Giudecca, i traditori, rispettivamente, dei parenti, della patria o del partito politico, degli amici o commensali e dei propri benefattori.
Da ciascuna delle tre bocche di Lucifero, Dante scorge pendere un dannato, che così descrive: ”Da ogni bocca dirompea co’ denti/ un peccatore, a guisa di maciulla,/sì che tre ne facea così dolenti/”…. “Quell’anima là su c’ha maggior pena”/ disse il maestro, “è Giuda Scariotto,/ che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena./De li altri due c’hanno il capo di sotto,/quel che pende dal mero ceffo è Bruto:/vedi come si torce, e non fa motto!;/ e l’altro è Cassio che par sì membruto” (Inf., id., 55 ss.).
Giuda Iscariota, proveniente dalla Giudea (città di Querijoth), fu accolto da Gesù tra gli apostoli, ma, corrotto per trenta monete d’argento (“trenta denari”) (S. Mat.,26°, 14 ss.), guidò coloro che (S. Gior., 18°, 3) arrestarono il Messia nel Getsemani (S. Gior., 18°, 3) e con un bacio lo tradì.
È noto, infatti, dal Vangelo di Marco, che, dopo la Cena, Gesù andò con i discepoli in un podere chiamato Getsemani, ai piedi del monte degli ulivi. E disse loro “sedetevi qui mentre io prego”. Si gettò a terra pregando che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora di sofferenza, dicendo “Padre, tu puoi tutto. Se è possibile, allontana da me questo calice. Tuttavia, non si compia ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”.
I suoi discepoli erano, però, presi dal sonno e Gesù li sollecitò dicendo loro: “Continuate a dormire e vi riposate? Basta! È giunta l’ora. Ecco il figlio dell’uomo è consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi! Andiamo! Chi mi tradisce è vicino.”
Nello stesso momento, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei dodici apostoli, insieme a una turba di uomini armati di spade e di bastoni, mandati dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno: Colui che bacerò, e lui. Afferratelo e portatelo via con attenzione”.
Appena giunto, Giuda si avvicinò a Gesù salutandolo: “Rabbì!” e gli diede un bacio di amicizia. Allora gli misero le mani addosso e lo arrestarono (Mar., 14., 32-52). Dopo la condanna di Gesù, per il rimorso, Giuda si impiccò (S. Mat., 26°,49).
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Giunio Bruto, nipote e genero di Catone l’Uticense, combatté con Pompeo a Farsalo, ma ottenne perdono da Cesare che gli attribuì il governo della Gallia Cisalpina e lo fece nominare pretore urbano. E tuttavia egli contribuì a pugnalarlo nella nota congiura delle Idi di marzo del 44 a.C. (“Tu quoque, Brute, fili mi”). Morì nella battaglia di Filippi, come Cassio; e, per vendetta, la sua testa fu esposta a Roma davanti alla statua di Cesare.
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Caio Cassio Longino, promotore della stessa congiura contro Cesare, nella quale coinvolse varie decine di altre persone, tra cui Bruto, morì anche lui a Filippi, osteggiato da Ottaviano e Marco Antonio, vendicatori di Cesare.
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Superata la vista di questi tre traditori (Giuda, Bruto e Cassio), i due poeti si accingono a ritornare fuori dell’Inferno; ed, all’uopo, Virgilio dice a Dante “Attienti ben, ché per cotali scale,/ conviensi dipartir da tanto male” (Inf., id., 82 ss.), lasciando quindi la terra che, a immediato contatto con Lucifero, si era ritirata, forse per repugnanza, formando la montagna del Purgatorio (Inf., id., 121 ss.), intraveduta da lontano da Ulisse (Inf., 26°, 133-135).
Col ritorno alla luce, v’è non solo il fatto fisico, ma anche un atto di liberazione dal mondo del peccato: “Lo duca ed io per quel cammino ascoso/intrammo a ritornar nel chiaro mondo;/…salimmo su, el primo ed io secondo,/….E quindi uscimmo a riveder le stelle. (Inf., id., 133 ss.).
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