ATRIPALDA – UN’IMMAGINE PERDUTA PER SEMPRE

Una premessa :

In questa rubrica narro alcuni remoti fatti, ma non ne dico i personaggi, pur essendo anche questi impressi nella mia (discreta) memoria.

Ciò è per rispetto ed amore verso essi ed essendo ormai problematico poter chiedere loro, pur contro l’inesorabile decorso di tanto tempo, l’eventuale consenso a menzionarli, necessario perché relativo a persone che, pur “note”, non sono addirittura “notorie” e sono quindi coperte per sempre da privacy e diritto all’oblio.

Il lettore che di certo ama come me Atripalda e questi protagonisti, li può agevolmente individuare nel ricordo.

Di uno solo di essi “mi sono permesso” di citare il nome ed è Buck, lo splendido cane che all’epoca si intratteneva, proprio come una persona umana, dinanzi a quel bar o sede di Partito, poiché ho ritenuto di averne già il consenso da quel suo scodinzolare quando veniva da noi giovani chiamato o accarezzato.

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Un giorno nero vedemmo rapidamente occultarsi, dietro un’improvvisa costruzione (che saliva come per non volersi fermare mai), l’immagine della Chiesa e del Convento di S. Pasquale, che dalla piccola collina vegliava da sempre sulla sottostante piazza principale di Atripalda, come una divinità posta a protezione della nostra comunità.

Infatti, nell’immaginario di noi atripaldesi, quell’altura ha sempre avuto del sacro, forse anche perché utilizzata, nel Venerdì di Pasqua di ogni anno, per la rievocazione rappresentativa del sacrificio del Golgota.

E nella stessa circostanza vennero (selvaggiamente) soppressi anche i secolari tigli sottostanti, nonché la caratteristica postazione del Dazio e le due vasche idriche a mezzaluna poste ai lati.

Fu come riportare una ferita, che il tempo non ha lenito.

Soltanto qualche rara cartolina, forse conservata con amore, può oggi consolare la memoria.

La popolazione atripaldese ha sempre rimpianto quella perduta visione, ma sommessamente e civilmente, perdendo purtroppo voci di giorno in giorno col consumarsi del tempo, sino a ridursi a sempre più pochi depositari del ricordo.

Le sopravvenute e nuove generazioni, che non hanno vissuto l’evento, oggi possono però comprenderlo egualmente, attraverso i pochi frammenti ad esse tramandati, e continuare così ad amare il proprio Paese anche nella sua originaria e non deturpata immagine.

Persino la Natura, in quegli anni, manifestò, a modo suo, malumore, allorché il Vesuvio divenne minaccioso spargendo a distanza, anche su Atripalda, un’inaspettata coltre di cenere grigio-rossastra, e, tempo dopo, il fiume Sabato, gonfiatosi a dismisura, esondò nel paese lasciandovi cumuli di fango poi a fatica rimossi dagli abitanti.

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