CLIMA, E C’È CHI DICE NO… NONOSTANTE

Premetto di essere venuto meno ad un principio: mi ero ripromesso di non trattare, nei limiti del possibile, lo stesso argomento. Mi vedo costretto, però, a tornare sulla tematica del clima, già affrontata nel n. 6 della rubrica, non solo perché con quest’ondata agostana di calore sahariano abbiamo inanellato un altro record di massima temperatura raggiunta in Europa, 48,8° (anche se il Servizio Meteorologico Nazionale contesta la misurazione perché effettuata dal Servizio Informativo Agrometeorologico locale, e quindi non ufficiale), ma perché già all’indomani ci sono state parallelamente a interviste e pubblicazioni di ogni tipo – la maggioranza – allarmate del riscaldamento, anche interventi di qualche sparuto “negazionista” del cambiamento climatico.

Due teste, due teorie
Diciamo subito: sull’una e sull’altra sponda delle opinioni dell’effettivo mutamento del clima ci sono fior di scienziati. Vado a memoria, ricordo che anni fa lo stesso Carlo Rubbia espresse perplessità sul reale cambiamento del clima mondiale ed altri se ne sono aggiunti nel frattempo: i fisici Franco Battaglia* e Franco Prodi**, Richard Lindzen**, nonché il meteorologo – volto noto televisivo – Guido Guidi**. Ma ad ascoltarli bene questi scienziati – e sotto nell’ordine metto il link dei loro interventi online – mica c’è la contestazione dei dati, tutt’altro: l’incremento della CO2 e altri gas serra e relativo aumento medio della temperatura terrestre – tutti eventi ormai acclarati a partire dagli anni ‘70 – esiste, quanto considerano ridotto l’arco temporale di misurazione. Effettivamente nei trattati scientifici di climatologia, gli intervalli temporali che caratterizzano il mutamento climatico globale con assestamento delle misurazioni medie, richiedono periodi di centinaia d’anni se non migliaia per essere considerati come piccola o grande era geoclimatica. Il problema è che nell’attesa che il dato di misurazione si stabilizzino su tempi abbastanza lunghi, corriamo un rischio enorme di andare incontro ad un momento di pericoloso non ritorno. E i bastoni tra le ruote dei negazionisti non fanno altro che creare disagio nell’opinione pubblica e ritardo nel coinvolgimento comune e convinto delle autorità governative ad intervenire. Si veda al riguardo l’atteggiamento sulla riduzione dei gas serra di Trump nel suo recente mandato. L’appello convinto dei climatologi è quello di non raggiungere nei prossimi due-tre decenni, la quota di 450 p.p.m. (parti per milione) di anidride carbonica nell’atmosfera, ma di invertire la tendenza all’aumento con una graduale e progressiva riduzione. Attualmente siamo già a 400 p.p.m. che è il limite oltre il quale qualunque sistema naturale di assorbimento della CO2 (oceanico per 1/3 e il restante fotosintetico 2/3) renderebbe vano qualunque tentativo di scongiurare mutamenti – del resto già attualmente presenti e in progress – come: alternanza di lunghi periodi di siccità a inondazioni repentine per abnormi eventi meteorici, aumento dell’acidità e modifica delle correnti delle acque marine, scioglimento dei ghiacci.
Non ho parlato di tutti gli altri scienziati, la maggioranza, che invece documentano e mettono in guardia la popolazione mondiale sulle conseguenze di un cambiamento climatico. Cito solo due nomi: Antonello Pasini*** fisico climatologo del CNR e Maria Cristina Gambi*** membro dell’Istituto Nazionale di Oceanografia. Il primo fa un excursus sull’attuale clima mondiale, la seconda focalizza l’attenzione sul golfo di Napoli e della sua vita sottomarina e guardandolo capirete perché ha attinenza col clima. Di questi vi invito a guardare gli interventi alla fondazione San Gallo e al MED ex di Napoli che sono esaurienti e chiari nello sviluppo, con semplice e accattivante capacità divulgativa – i link in coda -.

L’Artico bollente
Ora visto che cause e rimedi sono già espressi così bene nei filmati e che io non intendo ripetermi rispetto al precedente intervento, che faccio? Archiviati cause e rimedi sposto l’osservazione sugli effetti. E l’angolo di osservazione? Immaginate che la Terra sia un frigo che non funziona, la vostra osservazione non si sposterebbe per prima cosa sul freezer, dove ci sono le provviste che vanno prima in malora? E allora spostiamoci nella località più fredda e a settentrione del mondo: le Isole Svalbard posizionate a 78° di latitudine Nord oltre il Circolo Polare Artico. La giornalista Gloria Dickie di National Geographic e stata ospite l’altr’anno dello scrittore statunitense Mark Sabbatini e ne ha approfittato per redigere un reportage sui quei luoghi. Sabbatini innamorato del posto ha deciso di trasferirsi nella capitale Longyearbyen (appena 2400 abitanti) da oltre dieci anni, e ora dirige il quotidiano locale. Località ideale, a suo dire, per concentrarsi nei suoi scritti e anche perché appassionato di jazz – per il festival che nei molti mesi invernali ravviva l’oscurità permanente -. Lo scrittore l’ha portata a conoscenza delle numerose problematiche di cui soffre l’intero arcipelago in seguito al riscaldamento globale. Cominciamo col dire che meteorologicamente dal 1971 le temperature sulle Svalbard sono salite di circa 4 gradi, cinque volte di più rispetto alla media globale. La scorsa estate l’arcipelago ha registrato la temperatura più alta di sempre 21,7 gradi Celsius dopo tre mesi di temperature al di sopra della media. Nell’ultimo mezzo secolo, secondo i dati del Norwegian Meteorological Institute, le precipitazioni annue sono aumentate del 30-45 % soprattutto sotto forma di piogge invernali, in un periodo appannaggio assoluto delle precipitazioni nevose. Conseguenza di tutto ciò: Il disgelo progressivo del permafrost.

E d’improvviso cambio casa
Nel 2014 lo scrittore si vide costretto ad abbandonare – cosa comune a molti altri abitanti di Longyearbyen – la propria abitazione, perché interamente lesionata, a seguito del cedimento delle fondazioni. Il continuo rialzo termico aveva fatto abbassare la profondità dello strato di terreno ghiacciato – dove le fondazioni insistevano – di almeno un metro, creando cedimenti nell’intera struttura.
Localizzato vicino alla cittadina di Longyearbyen è presente la Svalbard Global Seed Vault, una importante “banca dei semi”, una struttura che custodisce sementi di ogni tipo; un importante centro per la conservazione delle specie vegetali dell’intero globo e anch’essa è stata soggetta a ristrutturazione in seguito ai cedimenti del permafrost. Un problema del resto comune a molte popolazioni delle zone artiche.
I ricercatori stimano che un riscaldamento globale di 2° C farebbe scomparire 2,5 milioni di chilometri quadrati di permafrost con relativa liberazione di metano dal sottosuolo con ulteriore aggravio di concentrazione di gas a effetto serra nell’atmosfera.
Spostandoci a latitudini di poco inferiori, in Alaska, a Newtok, più di un chilometro di scogliere di permafrost soggette all’erosione del mare e del rialzo termico si sono sgretolate e sono finite in mare, costringendo gli indigeni Yup’ik, che risiedono nella zona, a spostarsi verso l’interno.
Per la prima volta sui versanti montuosi, a ridosso delle costruzioni abitative delle Svalbard hanno dovuto installare barriere di acciaio per scongiurare l’effetto valanghe per il progressivo cedimento del manto nevoso dovuto al riscaldamento.

Il clima cambia… e allora speculiamoci sopra
Il Trattato sulle Svalbard, firmato a seguito della I Guerra Mondiale, riconosce alla Norvegia la sovranità sull’arcipelago. La scelta del paese scandinavo era motivata solo dalla vicinanza geografica oltre che da buone relazioni con le potenze alleate. Il Trattato contiene il “principio di non discriminazione” che permette a qualsiasi cittadino dei paesi firmatari, ben 46 – tra cui anche la Corea del Nord – di vivere alle Svalbard senza bisogno di visto. In pratica una terra di nessuno. Infatti, di abitanti indigeni non ve ne sono. A differenza degli Yup’ik la mancanza di memoria generazionale rende la popolazione meno radicata e politicamente impegnata sul territorio e poco sensibile e resiliente di fronte ai cambiamenti in atto. Fino a qualche decennio fa sulle isole esisteva una attività estrattiva di carbone che adesso è stata dismessa. Un fattore inquinante in meno, si dirà. Tutt’altro. Il riscaldamento globale e la possibilità di raggiungere l’arcipelago in qualunque mese dell’anno, ormai non isolato più dai ghiacci del mare di Barents, ha fatto crescere a dismisura il turismo, sostenuto dal desiderio dei visitatori – per me malsano, quasi simile a quello di fare visita ad una riserva di indiani pellerossa – di vedere l’Artico prima che cambi per sempre. Una moda battezzata: last chance tourism.
Ma se si abbandona il carbone si accarezza il petrolio. La Russia ha già messo gli occhi sui giacimenti di petrolio e di gas sotto la piattaforma continentale delle Svalbard. Quello che frena per il momento l’estrazione è la modifica che il riscaldamento progressivo delle acque marine ha provocato nella fauna. Mentre trichechi, foche barbate e beluga si stanno spostando sempre più a nord per lo sfaldamento della banchisa polare, nei mari che circondano le isole secondo lo studio di Haakon Hop, biologo marino presso il Norwegian Polar Institute, si ha un’invasione di pesci che fino a poco tempo fa abitavano solo le acque più a sud, come merluzzi e sgombri. In particolare i merluzzi che arrivano dal sud a popolare le acque sempre più calde del “profondo” nord, diventano sempre più grandi perché le temperature alte favoriscono scatti di crescita negli animali allo stato larvale e giovanile. C’è materia per studiare il cambiamento climatico anche in relazione alla modifica della fisiologia e metabolismo dei pesci. Come è logica conseguenza si è incrementata a dismisura la pesca che se non altro ha avuto l’effetto di frenare le intenzioni di sfruttamento – almeno per il momento – dei giacimenti. Sui fondali delle coste che circondano le isole ha cominciato ad insediarsi anche la granceola – crostaceo dall’alto valore commerciale – anch’essa fino a poco tempo fa presente solo in mari più meridionali.
E i russi allora che fanno? Si adattano. Un po’ come Buffalo Bill che non potendo più cacciare i bisonti si adattò a simulare la caccia nel circo, con lo spettacolo Wild West; i russi hanno abbandonato per il momento la questione petrolio e hanno cominciato a costruire sulle isole industrie di trasformazione e conservazione del pesce. E quando si muove l’orso russo, l’aquila statunitense risponde: le isole Svalbard sono diventate un territorio strategico. Specie quando la NATO ha organizzato un’assemblea parlamentare alle Svalbard nel 2017 e la Russia l’ha definita manovra “provocatoria”. Rispettivi sottomarini dell’uno e dell’altro contendente, nel frattempo, presiedono la zona.
Mentre il governo nazionale norvegese a Oslo – spinto finalmente dalla popolazione residente – sta cominciando a prendere coscienza delle problematiche ambientali legate al mutamento climatico si teme che altre nazioni orientali, spingeranno per avere maggiore accesso alla logistica e alle risorse dell’arcipelago. Lo scorso marzo, la Cina ha confermato il progetto di costruire una “via polare della seta”, una rete di investimenti su petrolio, gas attività minerarie e trasporti nella regione artica. A causa del principio di non discriminazione, al momento, non c’è molto che il governo norvegese possa fare per contrastare gli interventi di investimento economico-commerciali provenienti da altri paesi.

Sensibilità: quotazioni di mercato
Termina qui il nostro breve viaggio nel micro ecosistema delle Isole Svalbard. Non aggiungo commenti o considerazioni retoriche che riempiono ormai la bocca di politici di tutto il mondo e anche del nostro paese. Dico solo che all’indomani della istituzione del Ministero della Transizione Ecologica del nuovo governo Draghi, che ha sostituito il precedente Ministero dell’Ambiente, molti hanno commentato con scetticismo sulla sua effettiva efficacia e ottenimento di risultati; e i più cinici lo hanno fatto con sarcasmo e ilarità. Io dico soltanto che ognuno di noi può e deve fare la sua parte anche con piccole regole e modifiche di atteggiamento personale circa il rispetto di ogni piccolo equilibrio ambientale e cosa più importante: sensibilizzarsi sulla problematica. Purtroppo ahimè, la sensibilità è qualcosa che non si compra al mercato, o ce l’hai dentro o lascia perdere. L’altra sera ero ad una esposizione di quadri, di un amico, separato e senza figli, che considero un grande artista perché la pittura – anche se per lui è solo un hobby – la coltiva in una maniera sublime. Parlando del caldo torrido che ci ha attanagliato in questi giorni alla fine ha commentato: “Cosa lasceremo ai nostri figli”. Ecco, lui non ha bisogno di cercarla al mercato, la sensibilità.
E per chiudere uso le parole che lo scrittore Sabbatini – ormai naturalizzato svalbardiano (si dirà così?) – ha usato nel salutare la giornalista di N.G. “Non sono inconsapevole e ne soffro dei cambiamenti che ormai sono in corso. Per superare questo stato preferisco concentrarmi sull’ancora incredibile bellezza naturale delle Svalbard, quest’anno l’aurora boreale è stata davvero fantastica”.
I Link:
*
https://www.youtube.com/watch?v=qwNtPB1zIv
**
https://www.youtube.com/watch?v=eFdbnjnXbKc
***
https://www.youtube.com/watch?v=OE3hIrCSWDA
https://www.youtube.com/watch?v=_lGGkRIpvHM&t=910s

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