Vincenzo e il lupo irpino

Sono venuta in Irpinia a trascorrere qualche giorno in famiglia. Finalmente mi sono seduta su un treno super veloce che in sole 5 ore mi ha portata da Milano a Benevento, a 30 chilometri da casa mia. Un piccolo passo che, si spera, sia propedeutico ad ulteriori evoluzioni in merito alle linee ferroviarie e in generale ai collegamenti che portano nei territori interni del Sud. Voglio credere che ce la faremo.

La mattina esco per fare alcune commissioni e sulla via del ritorno perdo la “circolare”, l’autobus che dal centro di Ariano Irpino, uno dei comuni più estesi d’Italia, ti riporta verso le campagne limitrofe.

Il titolare di un negozio, con il quale stavo scambiando due chiacchiere in merito alla pandemia, alla nuova ondata di contagi e alla crisi delle attività locali, non esita un istante e si offre di accompagnarmi a casa. È un viso conosciuto, mi fido, apre lo sportello e salto su.

Vincenzo ha un camioncino che gli serve per trasportare merci e materiali in vendita nel suo negozio, un’attività che porta avanti da diversi anni, da quando ha fatto famiglia e da quando ha deciso di dedicarsi ai suoi quattro figli, oggi tutti adolescenti. Da giovanissimo si occupava di ristorazione e ciò non gli avrebbe permesso di prendersi cura di loro come invece è riuscito a fare, grazie alla vita di negozio.

Mi colpiscono immediatamente la capacità di sintesi e la profondità con cui mi racconta di sé e del territorio in cui è nato, cresciuto, vissuto.

Gli chiedo dell’attività – un bazaar di arredi e accessori per il giardino – e di come vanno le cose. La sua riposta arriva immediata e con un sorriso intenso:
“Male, sono destinato a chiudere, ma è giusto così. A prescindere dalla pandemia, il mondo cambia. Io sono un ragazzo ignorante, purtroppo non ho studiato e non potrò permettermi di stare al passo con l’evoluzione tecnologica e culturale. Però, a differenza di tanti altri miei “colleghi” piccoli commercianti, non sono arrabbiato. Prendo atto di trovarmi nel bel mezzo di una trasformazione epocale riservata alle nuove generazioni oppure a coloro che, grazie all’istruzione e alle possibilità economiche (che sono sempre un ottimo strumento da affiancare al genio e al talento), in questo momento storico hanno molte più chance.
Quelli come me si sono realizzati quando, dal nulla, hanno costruito il loro piccolo, grande mondo, fatto di commercio “analogico” e di quartiere, di riscatto da una realtà difficile in un territorio pieno di questioni irrisolte, di contraddizioni, di mancanze ataviche. Ma questo oggi non giustifica più il vittimismo. Ciascuno, nella coscienza dei propri limiti, deve prendere atto di ciò che sta accadendo, riguardarsi allo specchio e pensare che ci si può trasformare, anziché estinguere.
Contro i giganti come l’e-commerce e contro una pandemia prolungata, insidiosa e distruttiva – soprattutto per noi piccoli imprenditori del territorio interno – non abbiamo tante armi a disposizione, se non la nostra umiltà, la capacità di adattamento e la nostra creatività.
Se il contesto cambia e tu ti senti vittima o aspetti la “manna dal cielo”, allora sì che sei destinato ad estinguerti. Bisogna avere il coraggio di rimanere lucidi, reattivi e di intercettare le nuove esigenze, i nuovi bisogni, i nuovi metodi. Non ho studiato, ma ho imparato dalla vita e dalla natura. I miei figli sanno che da giovane ero uno spericolato su molti fronti, tutti mi conoscevano come tale ma, ciononostante, con umiltà e con determinazione, sono cambiato, ho fatto il massimo che mi è stato consentito dalla mia coscienza e dalle mie risorse naturali e ce l’ho fatta”.
A questo punto mi sorge spontanea la domanda: “E quindi oggi cosa pensi di fare, se dovrai cessare la tua attuale attività?”
Vincenzo mi sorride di nuovo, più convinto di prima, e mi risponde:
“Ho un’idea che riguarda l’accoglienza sul territorio. Lo so che ti sembrerò un pazzo visionario senza speranze, ma io sono convinto che questa Irpinia non potrà rimanere per sempre una delle ultime ruote del carro del turismo e delle attrazioni paesaggistiche, culturali e enogastronomiche. Forse perché vengo dal basso e ho sorpreso me stesso, prima che gli altri, nell’essermi riscattato. Credo nelle donne e negli uomini e credo nelle loro infinite possibilità. Questo territorio possiede, come qualsiasi angolo d’Italia, il potenziale per attrarre idee, risorse, investimenti e attività che, a loro volta, possono affascinare chi arriva da fuori e arricchire chi ci vive dentro.
La pandemia? Che non diventi un pretesto, l’ennesima scusa per l’immobilismo e per rimandare a domani ciò che serve oggi. Il mio messaggio non è di speranza, ma di coscienza, di intraprendenza, a qualsiasi livello sociale e istituzionale. Se ci mettiamo tutti il massimo di noi stessi, aiutati dalla tecnologia, non possiamo fallire e sarebbe ora di smettere di trovare scuse. Forza irpini, diamoci dentro, sovvertiamo, osiamo e prepariamoci ad accogliere, intrattenere, stupire coloro che verranno da noi e dopo di noi!”.

Siamo arrivati a destinazione, Vincenzo mi congeda e io lo ringrazio per il passaggio, ma soprattutto per questa inaspettata infusione di energia e di motivazione nata da una chiacchierata come tante. Mi sarei aspettata le solite conclusioni al negativo e al passivo e invece ho scoperto che forse questo territorio è più carico di intenzioni di quanto immaginiamo. Bisogna intercettarle, interpretarle e sostenerle, oggi più che mai, senza “se” e senza “ma”.

Io tifo per Vincenzo e spero che la sua fiducia, il suo entusiasmo e la sua voglia di rimettersi in gioco con umiltà possano trovare le sinergie necessarie a realizzare la bellissima idea che mi ha confidato.
Altro che ragazzo ignorante!
Caro Vincenzo, in bocca al “lupo irpino”!

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