E venne il giorno (L’estinzione dei dinosauri)

Premessa
C’è quella scena iniziale, idilliaca, del film di Besson: Valerian e la Città dei Mille Pianeti, dove all’alba, sul pianeta Mül, la popolazione aliena si desta. La protagonista si sveglia in presenza di un lucertolino che dispensa perle iridescenti con le quali lei si deterge il viso, per uscire poi all’aperto su una spiaggia da sogno. E ancora: c’è un mare disseminato di conchiglie giganti e un cielo di un azzurro di cristallo, con un enorme e inverosimile pianeta sullo sfondo; sembra davvero, allo spettatore, di essere approdato in un lembo di paradiso, benché alieno. Poi all’improvviso, con un contrasto che insieme stordisce e quasi infastidisce, il cielo comincia a macchiarsi, a coprirsi, di esplosioni e spaventose scorrerie di guerra che deturpano irrimediabilmente il paesaggio e interrompono la meraviglia dello spettatore. Un’immagine forte che vede gli abitanti correre in cerca di un rifugio.
Facciamo ora un bel salto indietro nel tempo e trasferiamoci – con la fantasia certo, ma l’evento stavolta è reale – nel centroamerica: un determinato giorno di 66 milioni di anni fa.

Antefatto

Il T. Rex – facciamo il nostro protagonista – era presente quel giorno.
Si svegliò insieme agli altri tirannosauri, in quello che sarebbe stato l’ultimo giorno del Cretaceo e insieme, di un intera era geologica: il Mesozoico – durato 150 milioni di anni con il dominio incontrastato dei sauropodi arrivati al culmine della loro evoluzione –.
Le foreste di felci, le conifere e i ginkgo si estendevano all’orizzonte, punteggiati dai fiori vivaci delle palme e delle magnolie. Il suono cristallino di un fiume in lontananza scorreva fino a riversarsi in qualche canale più grande del Nord America, in quel territorio: Hell Creek (nell’attuale Montana), all’epoca disseminato di triceratopi, anchilosauri corazzati, pachicefalosauri dalla testa a cupola, legioni di dinosauri a becco d’anitra. Si apprestavano a fare colazione a base di fiori e fogli. E ancora, c’erano i predatori giganti che davano loro la caccia, e quelli di taglia più piccola che davano la caccia a piccoli mammiferi e lucertole che guizzavano tra gli arbusti.
Poi, d’improvviso, le cose si fecero strane, diverse da quelle che erano state fino ad allora le norme seguite dalla storia della Terra.

L’apocalisse
(sulla veridicità, me la gioco con una buona percentuale di vittoria)
Forse, nelle ultime settimane, i tirannosauri più attenti avevano notato nel cielo una sfera scintillante e lontanissima: una palla nebulosa dai margini fiammeggianti, una specie di versione più sbiadita e più piccola del sole. La sfera sembrava diventare sempre più grande. La rudimentale coscienza di un T. Rex la percepiva, magari, con un senso di avvicinamento. Ma non poteva sapere cosa fosse e cosa fare: contemplare i movimenti del cielo era ben oltre le sue capacità.
La sfera adesso era più vicina, gigantesca e illuminava quasi tutto il cielo a sud est, in una foschia nebulosa e psichedelica. Poi, un lampo. Nessun rumore, solo un bagliore giallo che per una frazione di secondo accese il cielo, disorientando i tirannosauri. Di colpo più nulla, la sfera non c’era più, solo il cielo era diventato di un azzurro sbiadito. Il branco riprese le sue normali attività.
Infine furono colti alla sprovvista, la quiete era durata pochi istanti. La terra cominciò a tremare e ad oscillare come un tappeto elastico, producendo un rumore sordo. Onde possenti sollevarono il suolo sbalzando in aria i dinosauri più piccoli, i mammiferi e le lucertole che cadendo si sfracellarono sugli alberi e sulle rocce. Persino i dinosauri più grossi e pesanti del branco, lunghi dodici metri, furono sollevati dal suolo.
Poi cominciò a piovere. Ma quella che precipitava dal cielo non era acqua. Erano perle di vetro rovente e pezzi di roccia incandescenti. I frammenti più grandi scorticarono i dinosauri sopravvissuti. Nel frattempo, i proiettili di roccia vetrosa piovuti dal cielo trasmettevano calore all’aria. L’atmosfera si fece più calda, finché la superficie della Terra non divenne una specie di forno. Le foreste presero fuoco spontaneamente, gli incendi si propagarono ovunque. Inutile cercare scampo, la terra tutt’intorno, in poche ore, era diventata una tomba a cielo aperto.
Tuttavia alcuni animali erano sopravvissuti: qualche mammifero e lucertola che si trovavano sottoterra, alcuni coccodrilli e tartarughe che erano sott’acqua e qualche pterosauro o uccello primitivo riuscito a mettersi in salvo. Era la prima schiera di sopravvissuti che avrebbero scongiurato, in seguito, la totale estinzione di massa.
Non è finita: circa due ore e mezza dopo il primo lampo di luce, le nuvole cominciarono a ululare e a scaricare pioggia incessante . La fuliggine nell’atmosfera prese a vorticare formando dei tornado. Il vento sferzò praterie e vallate con la forza di un uragano. Insieme al vento si era alzato un rumore assordante – l’eco dell’impatto – Il suono viaggia più lentamente della luce. Si trattava del rombo che accompagnava i lampi nel cielo, che alcune ore prima avevano causato l’apocalittica reazione a catena.
Qualcuno riuscì a sopravvivere a fatica per alcuni giorni, settimane, mesi, persino qualche decennio. Non fu un periodo facile. Per molti anni a seguire, la Terra divenne fredda e buia a causa della fuliggine e del pulviscolo nell’atmosfera, che schermavano i raggi del sole. Il buio rese difficile anche la sopravvivenza delle piante, che avevano bisogno del sole per la fotosintesi, necessaria al loro nutrimento. Qualcosa di simile accadde negli oceani, dove la morte del plancton fotosintetico uccise quello più grosso e i pesci che di esso si nutrivano e di conseguenza i rettili giganti acquatici, in cima alla catena alimentare.
Alla fine il sole tornò ad affacciarsi tra le nuvole, perché la pioggia spazzò via dall’atmosfera la fuliggine ed altre sostanze. Queste precipitazioni, però, erano altamente acide e bruciarono la maggior parte della superficie terrestre. La pioggia inoltre non riuscì a rimuovere i dieci trilioni di tonnellate di anidride carbonica che si erano dispersi nel cielo con la fuliggine. La CO2 intrappola il calore nell’atmosfera, e ben presto ad un lunghissimo inverno, subentrò un altrettanto lunghissimo surriscaldamento globale.
Tutto questo contribuì alla guerra di logoramento che eliminò i pochi dinosauri sopravvissuti a terremoti, eruzioni – innescate dall’impatto della sfera di fuoco – e incendi.
Hell Creek si era trasformata in un vero “inferno” e così anche il resto del mondo. Era la fine dei dinosauri.

Armageddon
(l’asteroide dal nome esotico: Chicxulub)
Quello che accadde quel giorno – quando il Cretaceo finì con un botto – firmò la condanna a morte dei dinosauri e la fine di un’intera era geologica. Fu una catastrofe inimmaginabile che per fortuna gli esseri umani non hanno mai sperimentato. Casomai scongiurato, ma solo nella fantasia di qualche regista hollywoodiano.
Un asteroide, forse una cometa, si scontrò con la Terra, colpendo quella che oggi è la penisola dello Yucatán, in Messico. Era largo circa dieci chilometri, più o meno grande come il monte Everest. È probabile che si muovesse a una velocità di circa 108.000 chilometri all’ora, cento volte più veloce di un aereo di linea. Quando si scontrò con il nostro pianeta lo colpì con una forza di oltre 100 trilioni di tonnellate di tritolo, simile all’energia sprigionata da un miliardo di bombe nucleari. Penetrò per quaranta chilometri nella superficie e nel mantello terrestre, lasciando un cratere largo oltre 160 chilometri.
Un impatto al cui confronto la bomba atomica è un fuoco d’artificio. Era un momentaccio per essere vivi.
L’area descritta: Hell Creek, insisteva a 3500 chilometri a nordovest di distanza in linea d’aria dal punto di impatto. Con buona approssimazione possiamo immaginare che i dinosauri abbiano sperimentato davvero la serie di tragiche conseguenze sopra descritte. Che gli stessi effetti più o meno marcati si siano riprodotti nella quasi totalità delle terre emerse è da ritenere più che ipotesi, considerato che la scomparsa dei dinosauri si propagò – in un lasso di tempo abbastanza breve, in termini geologici – su tutta la Terra.

La pistola fumante
La vita degli uomini è scritta nei libri di storia, una volta in forma cartacea, oggi anche in forma digitale. Di essa si interessano gli storici. Poi vi sono gli archeologi e gli antropologi, perennemente alla ricerca delle vestigia e delle opere dell’uomo, fin dalle sue origini. Infine esiste una specie di libro, curioso, da leggere e decifrare, nascosto tra le pieghe della crosta terrestre; presente in un unico tipo di rocce: le sedimentarie. Certo le pagine e i caratteri di scrittura acquistano una forma tutta particolare: gli argomenti sono i fossili, le pagine del libro i livelli stratigrafici. Alla loro comprensione fanno fronte – egregiamente, come tutti gli altri studiosi citati – i paleontologi. Fino al 1980, la prova della scomparsa dei dinosauri, anche se si intuiva fosse dovuta ad un gigantesco asteroide, mancava di siti di localizzazione precisi: dove era il luogo e le tracce geologiche dell’impatto.
Partiamo dalle seconde, e visto che noi in Italia siamo soliti non farci mancare mai nulla, le tracce inequivocabili furono individuate per la prima volta in una gola denominata “del Bottaccione”, agli inizi degli anni ’80, nei pressi di Gubbio, in Umbria. Nella stratigrafia di passaggio tra i sedimenti calcarei del Cretaceo e quelli successivi del Paleogene, fu individuato uno strato sottile solo pochi centimetri composto di argille con una altissima concentrazione di iridio. L’iridio è il componente principale del corpo interno di asteroidi e meteoriti, elemento del resto scarsamente presente sulla superficie terrestre. Per interessare un intero livello stratigrafico – anche se di pochi centimetri – doveva essercene stato parecchio in sospensione nell’atmosfera, per depositarsi in tale quantità, in questi terreni. Almeno per centinaia di migliaia di anni. Successivamente gli stessi livelli stratigrafici furono ritrovati nel mar Baltico e in Spagna, a dimostrazione che l’evento di precipitazione di iridio, era globale.
Poi, alla fine degli anni novanta, finalmente fu trovato il cratere. La pistola ancora fumante. C’è voluto un po’ di tempo per scovarlo, perché era seppellito per buona parte sott’acqua: al largo della penisola dello Yucatán, sotto milioni di anni di sedimenti. Gli unici studi dettagliati dell’area, interessata dalla caduta dell’asteroide Chicxulub, sono stati portati alla luce da geologi delle compagnie petrolifere operanti in zona, che per molti anni hanno tenuto sotto chiave i loro rilevamenti, le loro cartine e i campioni mineralogici – potere delle grandi compagnie commerciali americane -.

Fateci largo che passiamo noi
L’asteroide non uccise tutte le forme di vita: risparmiò rane, salamandre, lucertole e serpenti, tartarughe e coccodrilli, alcuni dinosauri sotto forma di uccelli e i mammiferi.
Nessun mammifero durante il Mesozoico superò le dimensioni di un tasso, erano semplici comparse, rispetto ai dinosauri protagonisti. Il loro sviluppo e la loro evoluzione, come si legge in tutti i libri di scienze, esplose solo quando si presentò l’opportunità assente da centinaia di milioni di anni: un campo da gioco aperto, senza dinosauri.
Nei ritrovamenti fossili del primo periodo del Paleogene, si incontra lo scheletro di una piccola creatura di nome Torrejonia. Aveva arti dinoccolati e lunghe dita nelle zampe anteriori e posteriori. Era il primo mammifero arboricolo. Per vivere tra gli alberi aveva particolari caratteristiche anatomiche delle spalle, del gomito, dell’anca, del ginocchio e della caviglia, tali da essere considerato dagli scienziati il primo esemplare di primate. Altri 60 milioni di anni di evoluzione avrebbero lentamente trasformato questo umile protoprimate in bipedi che camminano, filosofeggiano, scrivono libri – o li leggono – e in “scimmie” che raccolgono fossili.
Se l’asteroide non avesse mai colpito la Terra, se non avesse mai innescato la reazione a catena di estinzione ed evoluzione, i dinosauri probabilmente sarebbero ancora qui, e noi no.
Ma l’estinzione dei dinosauri ci offre un altro monito, persino più severo.
Vivevano da oltre 150 milioni di anni, avevano superato difficoltà, sviluppato superpoteri come il metabolismo veloce e le dimensioni gigantesche ed erano riusciti a dominare sui loro rivali. Quella mattina di 66 milioni di anni fa si svegliarono sicuri della loro posizione indiscussa di signori della natura.
Poi, una frazione di secondo e il loro destino cambiò per sempre, e fu la fine.
Adesso siamo noi umani ad indossare la corona che apparteneva ai dinosauri. Siamo sicuri che le nostre azioni e le nostre posizioni principalmente verso la stessa natura non ci avviino , anche se lentamente, ad un analogo infausto destino?
Abbiamo la soluzione, però, preclusa a loro: per la maggior parte delle problematiche che ci affliggono, siamo noi a determinare il nostro destino sulla Terra; regrediremmo davvero a livello di “T. Rex che guarda incosciente la sfera di fuoco nel cielo” se non ne avessimo consapevolezza.

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