Il vaccino all inclusive
Con ragionevole ottimismo possiamo dire, riguardo alla pandemia SARS-CoV-2, di cominciare a vedere la luce fuori dal tunnel. Anzi, visto che l’estate è alle porte si intravede, dall’uscita, anche la segnaletica a indicare mare o monti, a seconda dei soggiorni che sceglieremo per le nostre vacanze, dopo un anno costretti nei propri luoghi di residenza.
Le vaccinazioni, ormai possiamo affermarlo, hanno svolto un ruolo fondamentale e decisivo per quanto riguarda la risoluzione dell’emergenza e della diffusione del virus. Ora, oltre che estendere e completare, la campagna vaccinale a gran parte della popolazione bisognerà verificare la durata della copertura vaccinale e sperare che nuove varianti non rendano inefficaci gli sforzi finora intrapresi.
Ma c’è di più: esiste la speranza che ricercatori di tutto il mondo – da encomio per il lavoro fin qui intrapreso – riescano a mettere a punto un unico vaccino universale “pancoronavirus”, tale da rendere questa pandemia un triste e doloroso momento storico da lasciare alle spalle?
Un esauriente articolo sull’ultimo numero di Le Scienze, questo mese in edicola, cerca di far luce su questa questione. La redattrice, dott.ssa Roberta Villa, già divulgatrice scientifica per il Corriere della Sera, nell’articolo traccia delle ipotesi abbastanza positive, ma al tempo stesso anche allarmanti, per la diffusione di virus dal cosiddetto Spillover (salto di specie) che in questi ultimi anni è diventato sempre più frequente. Ma andiamo con ordine.
Premetto solo un chiarimento, sul mio ruolo in questo argomento e in tutti gli altri dei miei articoli. “Io geologo sono” usando una frase da Toto Peppino e i Fuorilegge, in quel caso utilizzata da Peppino per ribadire il proprio ruolo di barbiere. Per una vita ho insegnato e frequentato le vie di conoscenza scientifica. Questo il mio curriculum, punto. Non sono né ricercatore né esperto o sedicente tale. In quest’articolo, come negli altri: relata refero, come dicevano i latini. Riporto solo i concetti di canali informativi accreditati, espressi in maniera, chiara dalla giornalista e spero altrettanto fruibili nella mia ripresa. Nessuna semplificazione sui concetti, però, riportati a volte così come trovati espressi. Eventuali dissensi, critiche o contestazione di ruolo mi troverebbero supino e inerme nell’accettazione. Abbiamo tutti già assistito a moderne e ridicole batracomiomachie, che questo delicato e doloroso argomento ha suscitato nei talkshow televisivi, che me ne guarderei bene dal parteciparvi, se tirato in mezzo. Detto questo, auguro buona lettura a chi vorrà continuare.
Il virus pandemico SARS-CoV-2 è solo l’ultimo arrivato di una serie di cosiddetti “betacoronavirus” che si sono succeduti in questi ultimi due decenni. Di questa famiglia di virus, il primo comparso sulla scena ha prodotto la prima epidemia di SARS (sindrome respiratoria acuta grave) che nel 2003 ha attraversato tutto il mondo. Così come quella della MERS (sindrome respiratoria mediorientale) sviluppatasi limitatamente alla penisola arabica. Fortuna ha voluto che fossero meno diffusive perché meno contagiose anche se, come nel caso della MERS, più pericolose – un caso su tre portava al decesso –.
Tutte e tre queste sindromi riguardano casi di spillover, passaggio di virus da animali all’uomo. Basti pensare che solo nei pipistrelli convivono circa 114 betacononavirus – individuati dal progetto PREDICT della U.S. Agency for International Development. Un giacimento di potenziali nuove minacce per la salute globale.
Microrganismi che fino a vent’anni fa interessavano poco la medicina umana – sebbene fossero causa di malattie anche importanti negli altri animali – per gli esseri umani erano solo una delle tante cause del raffreddore. Banali infezioni delle alte vie respiratorie hanno cominciato a mostrare il loro volto più oscuro nei primi anni duemila, quando tramite un ospite intermedio, lo zibetto, virus più insidiosi sono passati dal pipistrello agli esseri umani. Il virus della prima epidemia SARS, ormai è accertato – con buona pace dei complottisti che ritengono i virus creazioni di laboratorio – dalla regione del Guagdong, in Cina, è riuscito ad arrivare fino a Toronto, in Canada, facendo tremare l’Occidente con una letalità del 10 per cento.
“Allevamenti intesivi o mercati come quelli comuni in Oriente, dove animali selvatici e domestici sono tenuti a stretto contatto in condizioni igieniche precarie, favoriscono la circolazione degli agenti infettivi.
Il passaggio di specie è talvolta anche la ricombinazione tra loro di virus che in genere colpiscono in maniera specifica l’uno e l’altro animale e che invece così finiscono per trovarsi insieme nello stesso ospite”, così commenta Ilaria Capua, direttrice del One Health Center della Florida e volto noto della televisione, “I coronavirus colpiscono molte specie diverse: il responsabile del SARS-coV-2 è già stato trovato nei visoni, nei felini e in altri animali. Se non fermiamo la circolazione dei virus, ma permettiamo che si trasferiscano in altri ospiti, rischiamo di trasformare la pandemia in “panzoozia”, da cui sarà molto più difficile uscire e che faciliterà l’emergere di nuove varianti”
Ma ora facciamo un po’ di luce positiva in questo quadro che sembra preannunciarsi fosco per il futuro.
Per stare più tranquilli anche riguardo alle varianti che si stanno sviluppando all’interno dell’attuale pandemia servirebbe un vaccino a più ampio spettro, capace di coprire magari anche altri agenti infettivi che potrebbero colpirci alle spalle in futuro. Un vaccino universale contro tutti i coronavirus correlati alle pandemie SARS.
L’azienda statunitense VBI Vaccine avrebbe già tra le mani un candidato indicato con la sigla VBI-2901 progettato per essere efficace contro COVID-19, SARS e MERS che nei modelli animali, oltre che contro queste malattie sembra essere efficace contro uno dei virus del raffreddore. Un altro gruppo ha descritto sempre su “Science” il suo vaccino a base di nanoparticelle, che potrebbe funzionare contro ben otto coronavirus. Tra i gruppi in prima posizione c’è quello di Jonathan Heeney, capo del laboratorio di zoonosi virali dell’Università di Cambridge e di DIOSynVax, uno spin-off del prestigioso ateneo, che dal 2017 lavora su nuovi vaccini contro influenza, Ebola e altre malattie emorragiche. Heeney dichiara che il primo vaccino candidato a diventare “pancoronavirus” diretto contro le possibili varianti di SARS-CoV-2, SARS e tutti i virus ai due correlati, dovrebbe entrare nella prima fase di sperimentazione su volontari umani quest’estate. Per farlo hanno sfruttato le nuove tecnologie di progettazione dei vaccini, dette di rational design: grazie a metodi computazionali e di apprendimento automatico (una tecnica di intelligenza artificiale) sono studiate, anche dal punto di vista delle conformazioni – le parti del virus capaci di produrre una risposta immunitaria, cioè gli antigeni. Poi grazie alla cosiddetta biologia sintetica, viene riprodotta la sequenza genetica che contiene le istruzioni per fabbricare quelle parti del virus che inducono una risposta immunitaria. Ed è su quella sequenza genetica che contiene che si basa il vaccino. Queste nuove tecnologie permettono anche di individuare piccole porzioni degli antigeni, dette epitopi, capaci di indurre una risposta immunitaria protettiva. Dal confronto tra strutture dei diversi epitopi appartenenti alla stessa famiglia, si sono cercati, e trovati, quelli comuni a diversi coronavirus.
Il governo britannico ha investito nel progetto quasi 2 milioni di sterline, a cui l’azienda di Cambridge ne ha aggiunte altre 400.000, per poter portare il prodotto a iniziare la sperimentazione umana.
“Ma per continuare occorrono investimenti maggiori” lamenta lo scienziato Jonathan Heeley, a capo del progetto “Da parte delle istituzioni c’è troppa attenzione sulla crisi attuale, mentre si tagliano i finanziamenti a medio e a lungo termine”.
Eppure, anche guardando al futuro conviene. “Si stima che la pandemia in corso finirà per costare a livello globale tra 8000 e 16.000 miliardi di dollari, circa 500 volte di più di quello che servirebbe per prevenire la prossima” hanno dichiarato sempre su “Science” Wayne C. Koff e Seth F. Berckley responsabili rispettivamente di Human Vaccine Project e di Gavi Alliance, due delle più importanti iniziative che garantiscono l’accesso ai vaccini in tutti i paesi del mondo.
Tra le eccellenze della ricerca italiane vi è anche Antonio Lanzavecchia che dirige insieme a Davide Corti, altro italiano, il laboratorio di Humabas/Vir a Bellinzona, in Svizzera. Il prodotto messo a punto dagli scienziati si chiama VIR-7831. Un anticorpo monoclonale capace di neutralizzare non solo SARS-CoV-2 nelle sue diverse varianti ma probabilmente anche il virus della SARS ed altri a questo correlati, dal momento che mira ad una piccola porzione della proteina spike – cioè la “chiave” usata da questi patogeni per entrare nelle cellule e replicarsi.
L’azienda che con Humabs/Vir, la GlaxoSmithKline, ha annunciato che somministrato anche a casa, a pazienti nelle prime fasi dell’infezione, con una semplice iniezione intramuscolo, è stata in grado di ridurre dell’85 per cento ricovero e morti rispetto a chi ha ricevuto il placebo.
A questi anticorpi monoclonali lavorano in collaborazione l’ospedale Luigi Sacco di Milano e il San Raffaele d Roma già dal 2003 data di inizio diffusione della SARS in Italia, con un primo infetto: un imprenditore di Milano di 36 anni sbarcato in quei giorni all’aeroporto di Malpensa proveniente dal Vietnam. Uno degli anticorpi dimostratosi efficace per combattere questo primo caso di infezione si è dimostrato, in laboratorio, efficace anche contro il coronavirus SARS-CoV-2 e varianti comprese, inclusa la B1.351 isolata in Sudafrica.
Se si riusciranno ad abbattere i costi, questi anticorpi monoclonali ad ampio spettro potrebbero essere usati anche in prevenzione. “Se riusciremo a modificarli in modo da aumentare l’emivita – ovvero la capacità di resistere nel sangue senza essere degradati, potremo somministrarli con un’iniezione intramuscolo a inizio stagione, esattamente come si fa con il vaccino antinfluenzale, fornendo una protezione almeno nelle persone più a rischio oppure con un sistema immunitario che fa più fatica a reagire in maniera vivace alla vaccinazione” le parole di Lanzavecchia.
Vaccini e anticorpi monoclonali quindi alla carica, in difesa della salute pubblica. Missione Impossibile? Staremo a vedere, fiduciosi già del fatto che i primi passi compiuti con la somministrazione dei vaccini attualmente in uso, hanno più che egregiamente assolto il loro compito.
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