A proposito del Pd irpino

Ho già dato qualche giorno fa la mia opinione sul Pd irpino. Ho scritto che è la copia conforme, anzi peggio, del Pd napoletano, salernitano, casertano, beneventano. L’ho descritto prendendo in prestito l’espressione utilizzata da Biagio De Giovanni per inquadrare il Pd di Napoli, a sua volta rappresentazione plastica di quello regionale, e in larga misura paradigma del Partito Democratico nazionale: il “Nulla Filosofico”. Ovvero – cito dai Dizionari – l’Assoluto Non Essere, l’Impensabile, l’Inesprimibile.

Ho scritto che questo Pd dice di voler andare avanti ma continua a guardare indietro; dice di volersi rifondare ma resta ancorato ai vecchi e ormai logori pali di fondazione; dice di volersi aprire finalmente al mondo esterno, ma di fatto nega la voce perfino al suo interno.

Ora, per cantarla con la Grande Buonanima di Lucio Dalla, a proposito del Pd irpino c’è una grande novità. Ma c’è davvero, non è che sarà tre volte Natale e bla bla bla. Anzi, di novità ce ne sono addirittura due, la seconda strettamente collegata alla prima.

Partiamo dalla seconda che è la meno importante. Il commissario provinciale Aldo Cennamo si è dimesso. Ufficialmente per motivi di salute. Cosa non vera, e il sottoscritto ne è sinceramente felice per lui: vogliamo tutti che l’ex deputato – persona di fine intelligenza e di sicuro spessore politico – stia bene e campi cent’anni.

Cennamo si è dimesso perché la trasferta di martedì al Nazareno gli è andata di traverso. Si aspettava che gli dicessero: hai operato benissimo in questa lunga reggenza del Pd irpino, vai avanti e fai celebrare il congresso a fine maggio esattamente come hai programmato, ossia con il tesseramento stravecchio del 2019 e con la vittoria già bell’e decisa della coalizione che raggruppa i deluchiani del De Luca avellinese, i dameliani, i santanielliani (pensate: perfino la Santaniello ha una sua corrente!) e i petracchiani ultimi arrivati ma già ben armati fino ai denti.

Invece, no: al Nazareno Cennamo ha trovato una brutta sorpresa, altro che “vai avanti e metti su il partito”. Al Nazareno – un po’ imbarazzati, un po’ in dialetto romanesco – gli hanno detto: “Ma ‘ndo vai? Fermate Aldo, Aldo fermate!”. E lui si è dovuto fermare. E poiché, al fondo delle cose, è pur sempre un politico vecchio stampo, oltre a fermarsi si è pure dimesso: perché è così che si fa nella politica seria quando una missione fallisce. E lui ha fallito. A voler essere estremamente sinceri, di conseguenza dissacranti, lui ha fallito perché si è limitato a fare il guardiano dell’esistente, cioè del Nulla Filosofico, eccetto le tessere. Ecco: lui ha fatto il guardiano delle tessere. Le ha contate e ricontate, i conti tornavano, c’era la maggioranza che lui voleva, dunque si va al congresso, senza se e senza ma. Era questa la missione. No?

Fuori dall’ironia, al Nazareno hanno detto a Cennamo che non sta né in cielo né in terra che si può celebrare un congresso con il tesseramento 2019, che bisogna completare il tesseramento 2021, e che quindi tutto è rinviato a data da destinarsi: fine anno, non fine maggio, se non proprio, molto più probabilmente, nel 2022.

Certo, fino a due settimane fa al Nazareno si respirava un clima diverso: il congresso del Pd irpino era stato autorizzato per fine maggio ed effettivamente con le tessere del 2019. Cosa sia cambiato negli ultimi giorni, non si sa. O meglio, a noi non è dato sapere. Accordi presi ad altissimo livello? Se è andata così, impossibile che non lo sapessero il governatore De Luca e il figlio Piero, vicepresidente dei deputati Pd. Dunque accordo anche con De Luca? Boh! Certo è che le cose sono cambiate.

Ora, si può dire tutto ciò che si desidera su questo epilogo, ognuno può metterci su il cappello che meglio si adegua alla propria testa. Livio Petitto e Umberto Del Basso de Caro possono affermare una cosa assolutamente vera, e cioè che il Nazareno ha accolto la loro tesi (andare al congresso con le tessere aggiornate). Ma dovrebbero stare attenti a non cantar vittoria: bene che gli vada, potrebbero ritrovarsi tra le mani lo spartito della messa funebre.

Così Maurizio Petracca, Rosetta D’Amelio, Enzo De Luca ed altri della loro compagnia: possono scrivere lettere para-romantiche, quindi simil-patetiche, come pure hanno fatto, al segretario nazionale Letta sostenendo quasi in lacrime che di questo passo il Pd perde credibilità (come se ne avesse grazie a loro!). La Roberta Santaniello può scatenare i suoi furori – epici ma non certo sacri – gridando che il Pd esiste sempre, e sottolineando sempre, non solo quando fa comodo (evidente lapsus freudiano, probabilmente derivante da un sillogismo componibile più o meno così: questo Pd fa sempre comodo alla Santaniello, ergo il Pd esiste sempre!).

Tutto si può dire, più o meno a vanvera, ma due sono le cose certe e serie. La prima: il Nazareno ha fatto una scelta giusta. Un Pd che non vuole vergognarsi di com’è (copyright di Nicola Zingaretti!) non può consentire un congresso nel 2021 con gli iscritti del 2019: in politica due anni sono un’eternità, specie con i partiti liquidissimi che ci ritroviamo e con le alleanze che cambiano da un mese all’altro. E ciò vale sia sul piano locale che su quello nazionale.

La seconda cosa, più direttamente riferita alla realtà politica irpina, è che se non si arriva ad un “Patto di Pace” tra i due Partiti Democratici che si sono ormai costituiti da queste parti, nessuno dei due prevarrà democraticamente sull’altro: sarà una guerra tribale all’infinito, senza vincitori, solo vinti, il Nulla Filosofico moltiplicato per due. A dispetto dei tanti problemi della provincia avellinese.

E allora… Riflettete, gente… Riflettete!

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