La possibilità di altra vita nello spazio

“Il vero grande interrogativo è il seguente: date le giuste condizioni, qual è la probabilità che la vita si sia potuta evolvere da qualche altra parte, se non la Terra ?”
Questo è il quesito, in quarta di copertina, che il docente di fisica teorica alla University of Surrey, in Gran Bratagna,  – nonché divulgatore scientifico – Jim Al-Khalili si pone, nel libro: Alieni – C’è qualcuno là fuori ? ed. Bollati Boringhieri.
Il libro raccoglie 19 interventi di altrettanti scienziati: astrofisici, cosmologi, biochimici, genetisti, docenti di matematica ecc. interpellati per fornire una risposta, nell’ambito della propria disciplina, sulla ipotesi di possibili forme di vita aliena. A dire il vero, due di questi trattano l’argomento in chiave fantastica interessandosi alla letteratura e alla filmografia fantasy. Uno sugli inverosimili avvistamenti, rapimenti e territori misteriosi – come la famigerata Area 51 – nel deserto del Nevada, ma su questi evitiamo di addentrarci per scongiurare reazioni di qualche alieno sotto mentite spoglie umane, presente tra noi.
L’indagine, sulla vita extraterrestre non si  limita ai pianeti del nostro sistema solare, ma volge lo sguardo anche alla miriade di pianeti che si stanno via via scoprendo al di fuori della nostra stella.
Questi pianeti prendono il nome di esopianeti e in particolare, i ricercatori, vanno alla ricerca dei cosiddetti “Riccioli d’Oro”, in inglese Goldilocks. Il termine viene usato per fare una analogia con la storiella per bambini “I Tre Orsi” in cui una ragazza di nome Riccioli d’oro assaggiando tre diverse ciotole di porridge,  scopre di preferire quello che non è né troppo caldo né troppo freddo, ma ha la giusta temperatura.
I pianeti extrasolari Goldilocks devono possedere le “giuste condizioni”  da avvicinarli quanto è più possibile alle caratteristiche che sulla nostra Terra permettono lo sviluppo della vita.
E si comprende, come prerogativa debba esserci la giusta temperatura – con una temperatura media ottimale di 15° C -, ma non solo. Gli altri elementi essenziali: l’acqua, l’anidride carbonica, metano, azoto, fosforo e zolfo. Quelli che si presume ci debbano essere stati sulla superficie terrestre quando, più di tre miliardi e mezzo di anni fa, si sono cominciate a sviluppare le prime forme di vita unicellulare. Trovarne di simili nell’Universo equivarrebbe davvero a fare un primo grande passo nell’ipotizzare possibili forme di vita con sviluppo simili alla nostra.
C’è chi dice si, c’è chi dice no
Diciamo subito che gli interventi nel libro si dividono quasi in pari numero tra possibilisti e i negazionisti all’esistenza di altre forme di vita nello spazio, ed è curioso come tra i primi, vi siano principalmente ricercatrici donne.
Le tesi di ognuno a favore o contro la possibilità di forme di vita su altri pianeti viene esplicitata e articolata in maniera esauriente e dettagliata tanto che alla fine di ogni capitolo si resta confusi nello scegliere l’una o l’altra teoria, per quanto sono plausibili entrambe.
Nella sola Via Lattea, la nostra galassia, è presente un numero di 400 miliardi di stelle, per non parlare delle altrettante galassie che la circondano. Si ritiene che ogni stella debba avere un sistema planetario. La possibilità che una stella possieda almeno un pianeta con caratteristiche abbastanza simili a quelle terrestri è ritenuta dagli scienziati tale da ipotizzare che il numero si aggiri intorno al miliardo. In soccorso a questa ipotesi viene, non solo la nota formula di Frank Drake, ma anche un nuovo adattamento di tale formulazione ad opera della astrobiologa Nathalie Cabrol: suo un intervento nel volume. Con i metodi di indagine attuali circa 2000 pianeti sono stati individuati  con distanza, grandezza abbastanza simile alla distanza tra il Sole e alla nostra Terra. Ma questo non ci dice granché. C’è bisogno di maggiore capacità di indagine. Oltre all’ormai datato e ancora valido telescopio Hubble, altri telescopi in orbita quali il Kepler e Tess sono in orbita intorno alla Terra, costantemente alla ricerca di altri Goldilocks.  Al momento ci si limita, per la individuazione, ad esaminare indici di tipo fisico e chimico dovuti al transito davanti alla propria stella dei pianeti o alle modificazioni nelle bande spettroscopiche che i corpi celesti interessati producono nei loro movimenti. Si stanno sviluppando però anche ricerche per la individuazione di indici biologici. Ad esempio, qualsiasi vegetazione assorbe la luce in alcune energie di sviluppo particolari che possono essere riconosciute. La presenza e l’abbondanza di ossigeno e metano, due gas di solito relativamente di breve durata nelle atmosfere planetarie, possono rivelarsi buoni indicatori del processo biologico in atto.
Per i pianeti del nostro sistema solare il primo scalo è naturalmente il vicino di casa più prossimo: Marte. Il pianeta è attualmente freddo, arido e inerte con una superficie  bombardata da radiazioni cosmiche ma ci sono state fasi della sua storia in cui avrebbe potuto esserci la vita, almeno come forme di vita microbiche. La disparità di dimensioni tra Terra e Marte ha causato differenze nel loro ritmo di raffreddamento, nella capacità di trattenere l’atmosfera e di conseguenza lo sviluppo di risorse solide, liquide e gassose necessarie allo sviluppo e mantenimento di forme di vita. I due lander Viking del 1976-77 posatisi sulla superficie di Marte per verificare attività biologica non hanno fornito risultati favorevoli, ci si augura che i recenti rover Curiosity , Opportunity  e – l’ultimo arrivato Perseverance – diano risultati diversi.
Alcune lune dei pianeti giganti del nostro sistema solare come Titano, Europa, Encelado hanno una lontananza dal Sole abbastanza rilevante, con temperature proibitive, ma su queste di positivo,  è stata già individuata una notevole quantità d’acqua sotto forma di oceani o lastre di ghiaccio.
Quando si ipotizzano forme di vita altrove, anche solo in forma unicellulare, non abbiamo numerosi elementi comparativi, anzi a dire la verità ne abbiamo uno solo: le nostre forme di vita sulla Terra. In pratica campione statistico pari a uno.
Cosa rende abitabile un pianeta
Quando avremo esempi di vita da comparare, avendola individuata finalmente da qualche altra parte che non la Terra, allora potremo rispondere in modo verificato a simili domande: di cosa ha bisogno la vita ? Quali sono i limiti ecologici della vita ? E forse: che cosa fa la vita ?
Per adesso ci limitiamo ad osservare le condizioni estreme verificabili sulla Terra.
La disponibilità di acqua allo stato liquido è la condizione cruciale. Ma altrettanto lo è la temperatura. A questo proposito gli scienziati ritengono che la vita può crescere e riprodursi a intervalli abbastanza ampi tra i – 15° C e i + 122° C. Studi condotti in deserti estremi della Terra mostrano che in un ambiente arido, una quantità anche minima di pioggia, nebbia, neve e persino umidità atmosferica può consentire la produzione fotosintetica, generando una piccola ma individuabile comunità microbica.
La vita è in grado di usare la luce a livelli inferiori a un centomillesimo del flusso solare che investe la Terra.
La radiazione ultravioletta e cosmica può essere tollerata anche a livelli molto alti da numerosi microrganismi. Livelli di ossigeno pari a pochi punti percentuali sarebbero compatibili con la presenza di organismi multicellulari primitivi. Altri fattori come il pH e la salinità, è probabile che siano variabili e dunque non costituiscano delle limitazioni alla vita su un intero pianta o satellite.
Le indagini di tipo biochimico che abbiamo su descritto potrebbero, quanto prima, fornirci indicazioni significative.
E gli alieni: come quelli del cinema ?
Al di là di possibile vita extraterrestre sotto forma microbica c’è possibilità che nello spazio esistano forme di vita intelligente.
Frank Drake ipotizzava, in maniera fin troppo ottimistica, che tutti i pianeti in grado di sostenere la vita prima o poi lo fanno e che tutti i pianeti che ospitano la vita prima o poi sviluppano forme intelligenti.
Altri scienziati non concordano su tale affermazione.
Già l’abiogenesi (la comparsa di materia vivente da componenti non viventi) e gli eventi che l’hanno generata sono al momento sconosciuti, figuriamoci avventurarsi nella comprensione dello  sviluppo di vita aliena in forme di coscienza e di intelligenza.
Certo sulla Terra deve essere avvenuta ma non possiamo calcolare, al momento, nemmeno la possibilità che si sia verificata altrove e che abbia la stessa evoluzione.
L’evoluzione di forme viventi – sul nostro campione unico –  ha richiesto 3,8 miliardi di anni finché si arrivasse alla comparsa dell’uomo.
Il passaggio da organismi unicellulari, prima archeobatteri, eubatteri e infine cellule eucariote che hanno dato origine alle prime forme di vita pluricellulari ha richiesto complessivamente tempi lunghissimi.
La multicellularità si è evoluta probabilmente venticinque volte nelle quattro principali linee discendenti (animali, piante, funghi e alche marroni), ma, come per l’abiogenesi non sappiamo come, perché e nemmeno precisamente quando sia avvenuto.
In ultimo, una serie di cambiamenti intervenuti nell’evoluzione di queste forme di vita, in risposta ad eventi casuali ha imboccato una strada tortuosa, complicata ed altamente contingente fino a sfociare nella comparsa del genere umano. Questo fa capire come la vita intelligente è un processo abbastanza raro. In un intervallo comprensivo di tutte le forme di vita sulla Terra, la comparsa dell’uomo  – ponendola ottimisticamente a 5 – 6 milioni di anni fa, rappresenta solo lo 0,005 dell’intero intervallo. Ma non vi è nulla di ineluttabile in questo percorso e non è detto che si sia potuto replicare altrove. E anche dando per scontato  che questo stesso processo si sia svolto altrove – in una nicchia ecologica simile a quella terrestre – è la finestra temporale ridotta della nostra vita intelligente che per poter comunicare dovrebbe coincidere con la loro.
Teniamoci in contatto
Ma noi siamo ottimisti e riteniamo che tutto questo sia potuto accadere in qualche prossima o remota regione dello spazio.
Pertanto abbiamo cercato la possibilità di metterci in contatto, qualora queste forme di vita intelligente, almeno a pari livello di civiltà e progresso scientifico, stiano nel cosmo a farci compagnia.
Partendo dal presupposto  che le leggi della fisica siano le stesse in tutto l’Universo, uno dei mezzi più semplici e versatili per trasmettere informazioni siano le onde elettromagnetiche ed è logico aspettarsi che anche le civiltà aliene avanzate utilizzino a un certo punto del loro progresso, questo mezzo di comunicazione.
Col l’acronimo SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) ricerca di intelligenza extraterrestre, gli astronomi hanno seriamente iniziato a considerare la possibilità di intercettare segnali del genere provenienti dallo spazio utilizzando i radiotelescopi. Il progetto è partito nel 1984 con un investimento cospicuo di milioni di dollari. Negli anni ha perfezionato i mezzi di indagine estendendoli a impulsi a raggi laser e fonti continue di luce monocromatica.
Le antenne della SETI sono puntate sia verso sistemi stellari vicini, sia usate per monitorare grandi tratti di volta celeste suddividendola in segmenti definiti in base ad un certo diametro di fascio.
A tutt’oggi non è stato rivelato alcun segnale che dimostri l’ esistenza di un’intelligenza extraterrestre -tranne qualche “falso” segnale dovuto alle attività di ionizzazione o emissione di radioonde da stelle come Pulsar o Magnetar – questo fallimento però è compensato dal fatto che il numero di sistemi stellari campionati è ancora piuttosto basso. Si prevede che l’individuazione di un possibile segnale richiederà probabilmente lo scrutinio di parecchi milioni di sistemi stellari. Perciò, mai perdere la speranza.
La ricerca degli alieni è un argomento che ha fama di essere qualcosa di scanzonato, persino stupido a volte (pieno com’è di teorie immaginifiche e omini verdi) e c’è da chiedersi: perché tutto questo dispiegamento di strumenti di indagine ? Perché tutto questo pensare agli extraterrestri equivale  a interrogarci su alcune delle più profonde questioni – non solo appannaggio di filosofi e teologi –  che gravitano intorno alla nostra esistenza: su che cosa è la vita, se ne possediamo l’esclusiva e qual è il nostro reale posto nell’Universo.
Per concludere due considerazioni di carattere generale: “scoperte straordinarie richiedono indagini straordinarie” e la seconda, tipica della vera scienza, sempre alla ricerca di qualcosa “per il momento, l’assenza di prove non è prova di assenza”.

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