Il Pd irpino e il “Nulla Filosofico” di Biagio De Giovanni

Fino a quando lo dice il sottoscritto – che lo ha detto tante volte, l’ultima nell’editoriale di lunedì scorso – l’affermazione potrebbe apparire niente affatto “autorevole”: a voler essere cinicamente ingenerosi, perfino irrilevante. Ma quando a dirlo è il Professor Biagio De Giovanni – una delle più belle teste della Filosofia che l’Italia può vantare – beh, per Pierino diventa un bel po’ imbarazzante alzare il dito ed uscirsene con l’usurato: “Ma questo chi si crede di essere!”.
Il tema è il Partito Democratico irpino, copia conforme, se non peggio, di quello napoletano, salernitano, casertano, beneventano. E si potrebbe continuare in lungo e in largo nella Penisola, fatta (forse) qualche rarissima eccezione.

In ogni caso, partiamo da ciò che ha detto ieri De Giovanni rispondendo ad una domanda di Gimmo Cuomo nell’intervista raccolta per il Corriere del Mezzogiorno. Si parla del Pd napoletano e delle prossime amministrative nel capoluogo partenopeo.
Il cronista chiede: “Alla fine, dopo 10 anni di opposizione balbettante a de Magistris, il Partito Democratico non è ancora riuscito a farsi dire di sì da un candidato autorevole anche perché in fondo l’indicazione di Manfredi è venuta da Roma. Cosa possono esprimere i democrat locali in queste condizioni?”.
La risposta: “Assolutamente il nulla totale. Il nulla filosofico. Non c’è niente che si possa attribuire al Pd. Nemmeno un aggettivo. A Napoli abbiamo avuto la peggiore amministrazione e la peggiore opposizione della storia repubblicana. Il Pd è stato lo scendiletto di de Magistris”.
Ecco: il Nulla Filosofico. Non osiamo immaginare cosa direbbe Biagio De Giovanni del Pd irpino se avesse la pazienza–ma sarebbe chiedergli uno sforzo sovrannaturale–di leggerne le cronache almeno degli ultimi tre anni. Cosa c’è oltre il Nulla Filosofico? Come si potrebbe mai definire ciò che è al di là dell’Assoluto Non Essere? Niente da fare: nemmeno lui, che è un Pensatore di mestiere, riuscirebbe a piazzare l’aggettivo che più si avvicina a quello giusto per qualificare l’Impensabile, l’Inesprimibile.

Se non può farlo lui, figurarsi noi. E allora, mettiamo da parte la Filosofia. Andiamo sul pratico elementare. Torniamo al tema del congresso provinciale del Pd irpino esattamente nei termini in cui lo trattano loro, quelli addetti ai lavori a vario titolo.
Stiamo scrivendo da tempo ormai immemorabile che per le condizioni in cui versa “questo” Partito Democratico la celebrazione del congresso avrebbe un senso se, invece di fare la conta delle tessere, capicorrente e sottocapi annessi e connessi alzassero i calici ed affidassero ad un brindisi di riappacificazione la speranza di un nuovo inizio. Non sarebbe soltanto un atto di coraggio, quant’anche e soprattutto di serietà, di maturità politica. In rapporto ai tempi Covid che corrono, ovvero alla montagna di problemi che siamo un po’ tutti chiamati a scalare, diremmo che si tratterebbe addirittura di un’attendibile certificazione di buona salute mentale. E invece no. Questi continuano a contarsi, a odiarsi, a scannarsi.

Ieri è apparso in cronaca un civilissimo invito del consigliere regionale Livio Petitto a fermare le bocce: per riflettere, ragionare, cercare una via d’uscita dall’impasse onorevole per tutti, e illuminata dall’osservanza delle regole, per di più con l’obiettivo di giungere ad una risoluzione congressuale unitaria.
Le regole richiamate sono quelle del buon senso oltre che dello statuto interpretato senza faziosità. Regola del buon senso dal numero Uno all’Infinito, riassumibile in un interrogativo dichiaratamente retorico: ma che congresso è un’assise celebrata nel 2021 con il tesseramento fermo al 2019, per di più dopo che nel frattempo ci sono state elezioni regionali che hanno stravolto i precedenti equilibri interni?

Basterebbe questo per far ripetere a Biagio De Giovanni ciò che ha detto del Pd napoletano con la doverosa aggravante d’una abbondante dose d’ironia. Perché mai i deluchiani del De Luca avellinese, i dameliani, i santanielliani, i petracchiani e (lo riscrivo volentieri) tutti gli altri “ani” di questo Pd “Nulla Filosofico” non vogliono che si celebri il congresso con il tesseramento aggiornato: temono che l’altro schieramento possa recuperare lo svantaggio attuale del numero di tessere? E perché mai dovrebbe accadere? Lo schieramento degli “ani” testé citati non avrebbe le stesse chance di far crescere il numero dei propri iscritti e, magari, addirittura allungare il passo rispetto all’altra componente del partito? Oltre tutto, lo sanno anche le pietre che il vero leader regionale del Partito Democratico della Campania è De Luca il salernitano. Dunque, di cosa si preoccupano i suoi seguaci irpini: che i vari e tanti Petitto della provincia avellinese possano imporsi all’attenzione del governatore per capacità, voglia di lavorare ed emergere? Ma questa roba, Signore e Signori, si chiama complesso d’inferiorità: è l’esatto opposto di ciò che serve per spingere la politica nel senso giusto.

Il vero problema – diciamolo – è che questo Pd dice di voler andare avanti ma continua a guardare indietro; dice di volersi rifondare ma resta ancorato ai vecchi e ormai logori pali di fondazione; dice di volersi aprire al mondo esterno ma di fatto nega la voce perfino al suo interno.
Per carità, la componente di cui Petitto è tra i capi non ha poche cose da farsi perdonare: taluni suoi rappresentanti di punta, ad esempio, insistono in un “macchiettismo” politico-istituzionale – peraltro inconcludente, quindi perfino dannoso – spiegabile più con l’affezione d’un grave disturbo della personalità che non con gli effetti passeggeri dei fumi d’alcol o altro eccitante.
Tuttavia, al consigliere regionale va riconosciuta la volontà di sgombrare il campo dalle macerie e seminare il dialogo. Nel deserto di pensieri, parole, gesti, insomma nel Nullo Filosofico di questo Pd, è un segnale – per quanto ancora troppo labile – che andrebbe decodificato per ciò che veramente vuole significare. E, nel caso, incoraggiato.

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