La corsa infinita

(Franco Genzale) – Il mio Amico Gabriele Meoli – Magistrato in pensione, Professore e appassionato Cultore di scienze umanistiche oltre a quelle squisitamente giuridiche – non ha saputo dirmi di no. Gli ho chiesto di avviare una nuova rubrica, pur continuando con “Le Parole di Dante”, incentrata sul più vario e universale dei fili conduttori: il “Pensiero”. Il suo Pensiero – anzi, da oggi, i suoi Pensieri – sulle cose dell’anima che forse troppo spesso sottraiamo al tempo delle nostre quotidiane riflessioni, probabilmente perché – a causa dei complessi meccanismi dell’inconscio – le derubrichiamo ad ovvietà, così rinviando la ricerca di risposte utili ai nostri più problematici interrogativi esistenziali. Avvertenza necessaria: i “Pensieri” di Gabriele Meoli, brevi ed intensi, pur non potendo prescindere dalla scienza filosofica, non hanno alcuna pretesa d’impartire lezioni a chicchessia. Vanno piuttosto inquadrati come “Pillole di Saggezza” di un anziano Signore che ha studiato (tantissimo), vissuto (all’insegna di valori alti e nobili), sofferto e gioito (come nell’ordinaria esistenza dell’umana specie).
Ringrazio l’Amico Gabriele, stavolta pubblicamente, per avere accettato il mio invito. Ai lettori il suggerimento di non perdersi questo minuto di “utile terapia” domenicale.

Non possiamo concepire pienamente i nostri pensieri; e, pur se potessimo, non potremmo efficacemente esprimerli; e, pur se potessimo esprimerli, potremmo non essere compresi.
Nella vita, corriamo per inseguire il tempo mentre fugge con le sue ricchezze, poteri, onori; di cui però non riusciamo mai a godere, con inutile rammarico, perché prima o poi verrà inesorabilmente tagliato quel filo.
Infatti “perché turbarmi l’animo o d’oro o d’onor brame se del mio viver Atropo presso è un troncar lo stame? E già per me si piega sui remi il nocchier brun colà donde si niega che più ritorni alcun?”
Forse è meglio non aver nulla, non possedere né ottenere beni da difendere, non desiderare di accumular conquiste che dovrai prima o poi lasciare, dopo rivalità, lotte, emulazioni.
Questa impossidenza materiale, che salva la tua libertà psicologica, risponde ad un benefico desiderio di tranquillità interiore, capace di garantirti un resto di vita almeno senza turbamenti (“me, mea paupertas vita traducat inerti…”).

I commenti sono chiusi.