Un tribunale dell’Inferno (… “Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia”)
Nel canto V dell’Inferno, Dante e Virgilio dal primo cerchio (Limbo) passano nel secondo, che racchiude uno spazio minore ma una sofferenza più grave per le anime, sì da provocarne lamento. (“Così discesi dal cerchio primaio/giù nel secondo, che men loco cinghia/e tanto più dolor, che punge a guaio”).
Siede all’ingresso un demonio-giudice, impersonato da Minosse (figlio di Giove e di Europa, in vita sovrano di Creta), con la funzione di “rappresentante” della giustizia divina nel dislocare le anime dei dannati; ai quali incute orrore digrignando i denti (…Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia”).
Secondo le parole di Dante, il processo dinanzi a lui ricorda, sia pur vagamente, un procedimento penale come svolto tra viventi:v’è infatti una fase “istruttoria di cognizione”, in cui Minosse “essamina le colpe ne l’intrata”, con un “interrogatorio” di ciascun colpevole (“l’anima mal nata”), che compare dinanzi a lui e fa integrale “confessione giudiziale”.
Seguono la decisione del giudicante, che vede “qual loco d’inferno” gli si addice, l’emanazione del verdetto, attuata con l’avvolgimento della sua lunga coda (“cignesi con la coda tante volte/quantunque gradi vuol che giù sia messa”) e la sua immediata esecuzione (“giudica e manda secondo ch’avvinghia”).
In un solo mirabile verso il Poeta comprende tutto il procedimento che si svolge a carico delle anime dannate, con le parole “Dicono ed odono e poi son giù volte”.
La competenza ed i poteri di questo strano giudice infernale “conoscitor de le peccata” (un po’ come il giudice attuale conosce la fattispecie dei reati e le relative norme incriminatrici : “Iura novit Curia”) sono però limitati al solo “quomodo” della punizione, atteso che la dannazione dei peccatori è qui statuita in maniera vincolante già per volontà superiore; sì che mancano, in questo terribile processo, anche i possibili istituti attuali di attenuanti, di atti di clemenza o perdono, di prescrizione e, tanto più, di proscioglimento o di assoluzione e di ogni altra discrezionalità.
Né possono operare presunzione di innocenza o possibilità di difesa e di impugnazione avverso ciò che quel giudice mostruoso statuisca a carico di ciascun peccatore.
Anche Minosse, come già Caronte, cerca di ostacolare il passaggio di Dante, scalzando la sua fiducia in Virgilio (“di cui ti fide”) e la sicurezza con cui egli è entrato per la larga porta infernale (“non t’inganni l’ampiezza de l’intrare”).
Ed anche a Minosse Virgilio ripete il monito già fatto a Caronte: “Perché pur grida?/Non impedir lo suo fatale andare:/Vuolsi così colà dove si puote/ciò che si vuole, e più non dimandare”.
I commenti sono chiusi.