“Parole di colore oscuro” (…lasciate ogne speranza…)
– di Gabriele Meoli –
Dante e Virgilio varcano la porta dell’Inferno (Inf., canto III), al sommo della quale vi è la famosa scritta sulla pena eterna e sulla giustizia divina: “Per me si va ne la città dolente,/per me si va nell’etterno dolore,/per me si va tra la perduta gente./Giustizia mosse il mio alto Fattore;/fecemi la divina podestate,/la somma sapienza e ‘l primo amore./Dinanzi a me non fuor cose create/ se non etterne, e io etterna duro./Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.”
Nella Commedia dantesca, è la porta stessa a parlare di sé ed annuncia che, attraverso di essa, si entra nella città della dannazione e del dolore; che i colpevoli non possono avere alcuna speranza, poiché dolore, eternità e morte sono i caratteri dell’Inferno; e un’esigenza di giustizia mosse la volontà divina.
Quelle gravi parole, che Dante trova di “colore oscuro” per il loro terribile significato (“il senso lor m’è duro”), riguardano i dannati (“genti dolorose c’hanno perduto il ben de l’intelletto”), ai quali è preclusa ogni prospettiva di salvezza.
Virgilio, che rappresenta la ragione, incoraggia Dante, che confortato con affetto dalla sua guida, si lascia introdurre “a le segrete cose”, cioè in quel luogo in cui i viventi non possono entrare, sconosciuto alla ragione e noto solo alla fede.
In esso la volontà dei peccatori è rimasta ostinatamente legata al male, poiché il tempo, che durante la loro vita avrebbe potuto offrire possibilità di riscatto, si è fermato improvvisamente al sopraggiungere della morte e quella volontà è per sempre rimasta ribelle, incapace ormai di pentimento, ma solo di disperazione senza fine.
“Quivi sospiri, pianti e alti guai/risonavan per l’aere senza stelle”, tanto da far commuovere Dante, mentre “diverse lingue, orribili favelle,/parole di dolore, accenti d’ira/voci alte e fioche, e suon di man con elle/facevano un tumulto, il qual s’aggira/sempre in quell’aura sanza tempo tinta,/ come la rena quando turbo spira”.
In questa visione poetica c’è tutto il tormento inevitabile del castigo per quelle anime dannate, che è d’altro tempo e d’altro luogo, rispetto al senso di colpa che spesso invade anche le coscienze dei viventi; nelle quali esso può già insorgere ma che è scongiurato dalla possibilità di un sincero pentimento, finché duri la libertà del volere umano.
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