Il virus e noi un anno dopo
L’anno scorso, di questi giorni, con infinito “dispiacere”, in Irpinia facemmo conoscenza con il Covid. Era il 6 marzo quando fu diffusa la notizia che una donna di Ariano era risultata positiva al tampone. Fino ad allora sapevamo del Virus a Wuhan e a Codorno. E la Lombardia ci appariva comunque lontana quanto la Cina: rispetto alle brutte notizie, nella nostra mente scattano in automatico certi meccanismi di difesa; ci culliamo nell’illusione che tutto accada a distanza siderale da noi, che a noi non debba mai accadere. Ma dura poco. Quando ad Ariano i casi cominciarono giorno dopo giorno ad aumentare, e lo stesso avvenne in altri luoghi della Campania e d’Italia, realizzammo un po’ tutti che nella pandemia ci eravamo e tanto più.
Tuttavia, presto la mente ci regalò un’altra illusione, molto più pericolosa della prima, anche a causa di una comunicazione scientifica e politica decisamente inadeguata, oserei aggiungere anche un tantino irresponsabile. L’illusione fu che il Virus sarebbe “morto” con l’estate. Sicché – come usa dire – abbassammo la guardia. Nonostante qualche “malpensante” ci avvertisse che le cose non stavano affatto così, e perfino ci minacciasse con lanciafiamme e quant’altro, decidemmo (più o meno in massa) ch’era invece tempo di “sfogare” la rabbia e le frustrazioni della lunga prigionia impostaci dal lockdown. Sicché demmo fondo a tutte le nostre energie per scrollarci di dosso e cancellare dalla testa il “pensiero” del Virus: spiaggia, assembramenti, via la mascherina, “vaffa” a chiunque tentasse di richiamarci all’ordine, di avvertirci che la seconda ondata era inevitabile e sarebbe stata più drammatica della prima.
Contro ogni logica ed ogni raccomandazione decidemmo, però, che il capitolo Covid era alle spalle, e che piuttosto eravamo già in ritardo per riprendere il filo dell’ordinario romanzo delle nostre vite.
Ciò che è accaduto da ottobre in poi non va raccontato con i verbi coniugati al passato: ci siamo dentro, è cronaca di ieri e di oggi, è una cronaca “in escalation” per numeri di morti e di contagi. “Siamo molto meglio preparati di un anno fa”, dicono le autorità istituzionali centrali e periferiche. E ci mancherebbe – scusate la chiosa – se dopo tanti lutti, tanto dolore, tanti disagi, tante macerie fisiche, psicologiche, economiche, sociali e morali non fossimo – oggi – meglio preparati di ieri. Sarebbe il colmo, un colmo senza possibilità di attenuanti, né generiche né specifiche.
Tra le cose che sono cambiate nelle nostre teste – non in tutte, perché le teste di c… non mancano mai e purtroppo abbondano pure – c’è finalmente la consapevolezza che il Virus non se ne andrà da solo. Anzi, si è talmente “affezionato” a noi che ama sorprenderci, sadicamente meravigliarci, mutando: una variante, due, tre, quattro, sempre più svelto e complesso nel suo criminale tentativo di sfuggire all’arma del vaccino, di diventare “inarrivabile”. Per rendere soprattutto ai giovani, nel loro linguaggio, l’idea plastica di quanto subdolo e pericoloso sia questo maledetto Covid, bisogna classificarlo – scusate l’abuso lessicale – come un “Grande Stronzo”: è un Virus infido, malvagio, spregevole. C’è voluta la seconda, devastante ondata per farci capire che possiamo sconfiggerlo soltanto con il vaccino, ma a condizione che non gli diamo il tempo di mutare al punto tale da rendere inefficace il farmaco. Questione di tempo, dunque.
Ce lo hanno spiegato bene, stavolta, come funziona. Il Virus accelera sempre più nelle mutazioni, proprio per rendersi a sua volta immune dal vaccino di cui disponiamo. È una corsa contro il tempo: noi per proteggerci con le vaccinazioni, “lui” per infettare e tentare di uccidere quante più persone gli riesce. Oggi “lui” è in vantaggio, perché noi abbiamo il farmaco ma non in quantità sufficiente. Ne avremo tantissimo e per tutti fra tre mesi, forse anche prima. Nel frattempo abbiamo una sola strada da seguire: ripararci il più possibile dal Virus, evitare il più possibile il contagio, fare le cose che sappiamo, le stesse poche e semplici cose che ci stanno raccomandando in tutte le lingue e che soltanto le solite teste di… – avete capito bene quali – continuano ostinatamente a non fare: per superficialità, per incoscienza o per ignoranza, ai fini pratici cambia poco, perché l’effetto che si produce è comunque devastante.
Certo, è un sacrificio enorme per tutti dover ancora rinunciare, rinviare, reprimersi, soffrire. Ma si tratta di una condizione non negoziabile. O si fa così o la storia peggiora sempre più, fino a sfociare nella tragedia collettiva.
P.S.: L’Avvocato Nello Pizza, ospite di una mia trasmissione su Irpinia Tv, ha fatto la seguente riflessione, semplice e maledettamente vera allo stesso tempo: in Italia continuano a morire circa 400 persone al giorno; significa che ogni mese viene cancellato un paese di 12mila abitanti. Ogni mese. Non è abbastanza per indurci a comportamenti responsabili?
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