Dai miracoli di De Luca ai teatranti irpini: siamo messi maluccio

Vi risparmio la fredda declinazione dei bollettini sanitari quotidiani dell’Unità di crisi regionale e dell’Asl irpina per quanto più direttamente riguarda la provincia di Avellino.

Allo stato dei fatti, da oggi ci siamo ricolorati d’Arancione, il contagio ha ricominciato a galoppare a causa delle “varianti” ma anche dei comportamenti barbari di non pochi concittadini irresponsabili, nei ragazzi tra i 6 e i 18 anni il Virus è aumentato del 50 per cento, sempre più scuole vengono chiuse, i reparti Covid dei nostri ospedali si vanno di nuovo riempiendo, e dulcis in fundo il presidente De Luca ci ha fatto sapere che se le vaccinazioni continueranno al ritmo attuale, causa la carenza di forniture, diventeremo immuni tra due anni: ovvero – ci permettiamo di tradurre – quando la contabilità dei morti per Covid raggiungerà numeri tali da farci definire roseo ciò che abbiamo visto fino ad ora.

Dobbiamo aggiungere, giusto per accendere almeno un lumicino nel buio della realtà di oggi, che De Luca ha anche annunciato, nella consueta diretta Facebook di venerdì, che la Regione sta trattando all’estero – pare in Russia – l’acquisto di milioni di dosi di vaccino Sputnik per immunizzare la Campania prima d’ogni altra comunità in Europa.

Ora, sappiamo tutti che al nostro Governatore piace giocare a far miracoli; e che spesso e volentieri ha definito miracolose perfino talune cose non proprio gigantesche che effettivamente ha concretizzato. Tuttavia, considerata la posta in gioco, diciamoglielo in coro: “Caro Vincenzo, se davvero riesci ad ottenere tutti quei vaccini, costassero pure un occhio, ci impegniamo fin da ora a portarti in processione per i prossimi cinque anni: a Napoli al posto di San Gennaro, nella tua Salerno invece di San Matteo, a Caserta in sostituzione di San Sebastiano e Sant’Anna, a Benevento lasciando a piedi San Bartolomeo, e ad Avellino chiedendo venia a San Modestino. Sempreché – a proposito di Avellino – l’attuale sindaco sia disposto a smetterla di stare in auto-processione dalla mattina alla sera, un rito che celebra ogni giorno da quando è stato eletto, ovvero da quando s’è convinto che sia lui, e non già modestamente Modestino, il Santo Patrono del capoluogo (ma di lui diremo qualcosa più avanti).

In attesa che De Luca faccia il miracolo dei vaccini, circostanza che lo candiderebbe con ottime possibilità al processo di beatificazione anti-Covid, non si può intanto non riconoscere che i fatti di oggi, come del resto non pochi fatti di ieri, gli stiano dando ragione. Non so voi, amici lettori, ma io mi sto convincendo che De Luca abbia nel Dna qualcosa della mitica Cassandra. Ci ha rotto i timpani a furia di ricordarci ogni due per tre che gli assembramenti, le movide, le mancanze di controlli e le dimenticanze delle mascherine ci avrebbero riportato in piena emergenza, ed è puntualmente accaduto. Ha fatto cose da pazzi per dipingere l’ex dell’Istruzione, Lucia Azzolina, come inadeguata, al limite della iattura, una che avrebbe acceso il focolaio Covid nelle scuole: sarà stato un caso, ma Mario Draghi, forse concedendo perfino qualche scongiuro al suo volterriano pensiero razionalista, non l’ha presa nemmeno in considerazione quando ha stilato la lista dei ministri. E bene ha fatto, a giudicare dal crescente numero – come si ricordava sopra – di contagi tra studenti e prof.

De Luca un po’ come Cassandra, insomma ci sta tutto: ben sottolineando, soprattutto per Pierino lo stupido di turno, va da sé, che la profetessa prediceva ma non determinava le sventure. E per di più era anche sfortunata, perché nessuno le credeva. A differenza di De Luca, però, aveva il vantaggio che all’epoca non c’erano ancora i 5Stelle. Non mancheranno i lettori di trarne le conclusioni più opportune.

Siamo messi di nuovo male con il Covid, dunque, in Campania e quasi nell’intera Italia. Continuiamo a fare cose che non dovremmo fare e ci sottraiamo al dovere, invece, di fare ciò che sarebbe molto utile per la collettività e per ciascuno di noi. La responsabilità e la saggezza del Presidente Mattarella hanno fatto dono all’Italia di un Presidente del Consiglio dei ministri all’altezza di un’impresa che tutti sappiamo sarà estremamente difficile. Draghi ha avviato la sua avventura titanica dichiarando che per le devastanti condizioni oggettive in cui siamo, l’unità nazionale non è un’opzione ma un dovere. C’è bisogno di elencare gli argomenti per dimostrarne la fondatezza? Assolutamente superfluo. Torna utile ricordare, invece, che l’Unità e la Responsabilità sono parole vuote se non si traducono in comportamenti e fatti.

I comportamenti e i fatti locali sono cartine di tornasole di quelli nazionali. Aiutano oltretutto a semplificare, rendono più direttamente e più plastico il concetto se riferiti alla comunità regionale o provinciale in cui si vive.

Ho detto di De Luca, livello regionale. Vediamo il livello provinciale, l’Irpinia. Due esempi in sintesi: uno squisitamente politico, l’altro amministrativo.

Il primo può ben essere la vicenda assurda del congresso del Partito Democratico, ossia della forza politica che nel bene e nel male, per la sua consistenza in tutte le realtà comunali, di fattoorienta e determina la qualità della politica provinciale e delle ricadute che produce nella vita quotidiana dei cittadini.

Accade che nella fase di maggiore bisogno di Unità, per il “Bene” di un territorio martoriato dall’emergenza sanitaria e da quella non meno grave di natura economica e sociale, il Pd non solo decida a maggioranza di celebrare un congresso “in mascherina” – ma meglio sarebbe dire “in maschera”, vista la carnevalata che ci si accinge a celebrare – quant’anche e soprattutto si va all’assise gli uni contro gli altri divisi più che mai e armati, non di idealità e idee per uscire dal tunnel di questa drammatica congiuntura, ma di veleni e cattiveria, personalismi ed egoismi, ingordigia di potere e barbarie vendicativa. Si va al congresso con gli occhi pieni di sangue e di odio, quando occorrerebbe – se non amore – dialogo, rispetto reciproco, sforzo comune per tracciare percorsi chiari, sicuri, risolutivi. Niente. Tutt’altro. Cecità politica e culturale, etica e morale: alla faccia dell’Unità e della Responsabilità!

Il secondo esempio di come si possa essere insostenibilmente leggeri nella veste di amministratori locali è fornito dal già citato sindaco di Avellino. Il quale è un signore gioioso, “enjoy”, come tutti sanno, e va opportunamente preso per come più gli aggrada: sorridendo di sana gioiosità. L’ora grave che l’Irpinia sta attraversando richiederebbe, invero, comportamenti adeguati, soprattutto dal primo cittadino del capoluogo che tra l’altro ambisce – per carità, legittimamente – a rappresentare l’intera Irpinia candidandosi alla presidenza della Provincia.

Ne ha le qualità? Se è diventato sindaco, vuol dire che la maggioranza relativa degli elettori pensa – o almeno pensava – di sì. Ha uno stile istituzionale adeguato? Le cronache fanno emergere non pochi dubbi al riguardo. Una certezza: al sindaco di Avellino piace giocare, ma sui “campi” scivola senza imparare la lezione. Èscivolato, ad esempio, su Campo Genova. È un anno che ci gioca su. Da un anno e più la città capoluogo non può godere del suo tradizionale mercato, un centinaio di famiglie di ambulanti stanno soffrendo non poche difficoltà, le stesse casse comunali stanno soffrendo spese che potevano essere evitate. Niente da fare. Il sindaco ha detto No: o Campo Genova o morte agli ambulanti. Si perde tempo, si perde al Tar, si perdono soldi. E io pago, i cittadini pagano capricci, disservizi e sovrattasse.

Da Campo Genova al Campo Coni: altra provenienza, altro uso. Qui c’è la tendostruttura individuata come postazione per le vaccinazioni anti-Covid. Il centro sarà attivo soltanto da mercoledì prossimo, perché il Comune ha perso tempo, il sindaco ha perso tempo. Sicché 2.965 avellinesi ultraottantenni, quelli che fino ad ora si sono prenotati, non hanno ancora potuto godere del salvavita.

Questa è cronaca. Dov’è la carenza di stile istituzionale del sindaco? Semplice: nel fatto che invece di riconoscere inciampi ed errori, lui si agita, fa show, minaccia, nega l’evidenza, fa la vittima, dileggia e insulta. Dileggia la manager dell’Asl, rea di aver fatto il suo dovere con puntualità e trasparenza: come dileggiava De Luca – ricordate gli assembramenti al canto di “Chi non salta… è”? – solo per mettersi in mostra, per la smania di sentirsi in alto, che è il complesso dei nani in politica. Insulta i giornalisti liberi, quelli che fanno il loro dovere, e che osano avanzare rilievi critici rispetto a ciò che non va. Li chiama sprezzantemente pennivendoli, non li indica per nome e cognome come sarebbe corretto fare, senza dire a chi si vendono e quando e come. Insomma, una miscela di autoesaltazione e di eccitazione che non richiede il lettino di Freud per essere interpretata.

Ecco, due esempi per dire, non ai protagonisti delle farse irpine, ma piuttosto ai cittadini, e soltanto a loro, che di questo passo e con questi stili comportamentali – senza il dovere dell’Unità e della Responsabilità – non si esce dal tunnel: ci restiamo dentro fino a crepare.

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