Il suono degli zampognari di Natale: una medicina per l’anima
(Franco Genzale) – Le parole giuste, usate al momento giusto, hanno una potenza comunicativa straordinaria, riescono a raccontare in poche righe storie e tradizioni di forte impatto emotivo–sentimentale.
Dopo aver ricostruito per noi, qualche giorno fa, il Natale narrato dagli evangelisti, Gabriele Meoli ha messo ora insieme un po’ di versi della canzone “Lacreme Napuletane” (Bovio -Buongiorno, 1925) e della poesia “Le Ciaramelle” (Giovanni Pascoli, Canti di Castelvecchio, 1903): ne vien fuori il profilo di riti natalizi irrinunciabili che ancora oggi, “nonostante la convulsa vita dei nostri tempi, riescono a dare “un particolare benessere spirituale”. Buona (brevissima) lettura.
– di Gabriele Meoli –
Il canto di “lacreme napuletane” è il pianto di nostalgia dell’emigrante, che, pur nell’amarezza di una forzata lontananza per lavoro dalla sua Napoli, avverte tuttavia che “sta pe’ trasì Natale” e, perdonando “quella signora”, pensa al presepe da regalare ai suoi bambini; tutto esprime nella struggente sua evocazione “come vurrìa sentì nu zampugnaro”.
Anche il poeta ode tra il sonno le ciaramelle che destano “tutta la buona povera gente”, mentre, con le stelle in cielo ed i lumi nelle capanne, la terra appare “un piccoletto grande presepe”.
Quelle ciaramelle hanno un delicato suono di chiesa, di casa, di mamma e di “un dolce e passato pianger dinulla”, per un gradito “gran dolore che poi non duole” ma soltanto commuove.
Questo rito degli zampognari, che da luoghi misteriosi sono sempre ritornati in occasione del Natale, nonostante la convulsa vita dei nostri tempi, vuole essere ancora un astro che non può e non deve tramontare, per quel particolare benessere spirituale che sa dare.
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