VI RACCONTO LE DUE FILE DI MILANO A NATALE: QUELLA DEL “LUSSO” E QUELLA DEI “CLOCHARD”

La sospensione da Covid-19 continua a tenerci in ostaggio: incertezze, privazioni, ipotesi e smentite, attesa di decreti nazionali e regionali, liberi sì, liberi no, giorni sì, giorni no. Siamo tutti nel girone infernale del virus maledetto e dei lockdown che ci hanno stravolto le vite. Tra poco è Natale e quest’anno lo trascorreremo tra privazioni e rinunce a riti come lo scambio deidoni in presenza, i baci e gli abbracci affettuosi a parenti e amici.Quello che riusciremo a fare e a non fare nei giorni del Santo Natale 2020 rimarrà nella storia e avrà, si presume, un significato spirituale molto potente per ciascuno di noi.

In questo Natale sotto il segno della pandemia, giorno più giorno meno, siamo bombardati da una informazione schizofrenica, tanto quanto lo sono coloro che da nove mesi, in tutto il mondo, stanno cercando di gestire l’emergenza e i fili delle nostre vite navigando a vista, avvalendosi di suggerimenti e indicazioni di esperti non sempre allineati tra loro, emanando decreti, intercettando consensi. Il tutto alla ricerca di strategie e di provvedimenti che dovrebbero proteggerci da questa maledetta infezione virale. Sembra che la terza ondata stia facendo la gara a chi arriva primatra renne, Babbo Natale, Re Magi e Befana per sorprenderci ancora una volta, nonostante tutto, come bambini ingenui.

Mi sembra di vivere sul set di un film di fantascienza, uncolossal che sta coinvolgendo registi di tutto il mondo i quali, alle prese con un copione complesso, nell’ottica della schizofrenia che domina incontrastata, stanno provando a dirigerci a distanza parlando lingue diverse e facendo la gara tra di loro. Le uniche certezze per tutti sono: indossare le maschere di protezione, rimanere distanziati, lavarsi le mani, lavorare in modalità “smart” (per chi ancora lavora) e rispettare il coprifuoco. Poiché non ci è dato sapere se e quando ci sarà una fine, che ci auguriamo sia lieta, seguiamo tutti (chi più, chi meno) le istruzioni della sopravvivenza, nella speranza che questo aiuti i nostri registi a trovare la chiave di svolta per un finale in cui vivremo un po’ meno felici e un po’ meno contenti, ma vivremo. Altra certezza è che in questo film ci sono tanti eroi: gli eroi che combattono difendendosi con gli scafandri i medici e gli infermieri per cercare di guarire o di salvare i soldati colpiti dal virus maledetto. E poi ci sono gli eroi e i soldati che non vengono colpiti fisicamente dal Covid-19, ma che stanno perdendo tutto, chelottano ogni giorno per resistere alla privazione delle libertà, delleloro attività, dei loro progetti distrutti dalla pandemia.

Nella metropoli milanese, che in questi giorni sta cercando di risollevarsi con la forza dello spirito e con le luci natalizie, il titolo del film è “Schizofrenia”. Siamo passati dall’euforia e dall’ottimismo della riapertura di bar, ristoranti e negozi durante il week end di S. Ambrogio, ad uno stop per fare i conti conpolemiche, critiche e riflessioni sui nostri comportamenti sconsiderati. In effetti i numeri raccontano ancora di troppicontagi, ricoveri e decessi e la città in questo momento si ritrova ad affrontare un’emergenza nell’emergenza. Il paradosso è che le stesse strade, piazze e gallerie nelle quali in questi giorni abbiamo dato sfogo a shopping e a momenti di euforia, sono esattamente le stesse nelle quali sta avvenendo il dramma nel dramma: quello dei senzatetto, dei clochard, e di coloro che, se non hanno ancora perso un tetto, hanno perso tutto quel poco che avevano prima che arrivasse il Covid. Il “trend” paradossale di questi giorni a Milano è la fila: per tre giorni consecutivi sono passata davanti ad una nota boutique di uno dei brand del lusso più famosi del mondo e la fila era tanto lunga quanto quella che spesso si trova davanti ai supermercati. Il lusso non soffre, ce lo raccontano da tutto il mondo. Ma c’è un’altra fila che ha fatto parlare di Milano in questi giorni: quella che ogni mattina si crea in Viale Toscana, sulla circonvallazione, presso il luogo in cui i clochard e coloro che hanno perso tutto ricevono un sacchetto con “il pane quotidiano”. I media ci hanno raccontato con immagini e testimonianze di questo triste fenomeno in crescita, dell’emergenza nell’emergenza e della profonda contraddizione che Milano, metropoli cosmopolita, sta affrontando in questo momento. I gelidi gradini di marmo di Corso Matteotti, nel cuore del quadrilatero, sono la residenza diurna e notturna di un numerosempre più crescente di esseri umani che non posseggono nulla, che non lavorano né in presenza né in assenza e per i quali il copione è diverso dal nostro. Non avendo molto di cui privarsi, forse soffrono meno di noi per le restrizioni e per le privazioni, compreso il coprifuoco, visto che non hanno mai un posto in cui rientrare. Ci osservano durante il giorno mentre usciamo dalle boutiques e dai caffè. Sono lì, accartocciati sotto i giornali e sottovecchie coperte e si tengono stretti i loro cani che, i questi giorniprenatalizi, sembrano interpretare il ruolo di bue e asinello in un presepe sinceramente difficile da guardare. Come riportato dal nostro noto quotidiano milanese, queste persone, nella loro dignitosa miseria, arrivano a litigarsi i calzini spaiati.

Milano, si sa, è un punto di osservazione importante per comprendere le dinamiche e le similitudini tra il globale ed il locale. Ciò che sta accadendo qui oggi è una crisi sociale edumana quasi senza precedenti. La pandemia, nella sua complessa gestione, ha stravolto ruoli, modelli, certezze, dinamiche già difficili in tempi normali. Il virus ha generato un caos fatto di improvvisazione e di scarsa connessione tra politici, virologi e infettivologi, opinionisti, tuttologi, pseudo esperti di emergenze,giornalisti e suppositori alla ricerca di visibilità i quali, nonostante la bocca sia coperta e limitata da una mascherina, non si trattengono dal pronunciare parole inutili o dal lanciare messaggi devianti, se non addirittura pericolosi.

Mi domando come l’universo, nel suo ordine caotico, riesca ancora a considerarci parte di esso. L’universo infinito nel tempo e nello spazio insegna che c’è sempre un moto, uno slancio, un mutamento, un caos che porta a nuove soluzioni e a nuove combinazioni affinché tutto possa rimanere sempre e comunque in armonia. Appartenere all’universo rappresenta un grande privilegio, un onore che si traduce nel regalo della vita fatto a ciascuno di noi. Il Natale torna ogni anno per ricordarcelo. Mi rivolgo innanzitutto ai nostri “registi” affinché possano sentirsi parte dell’universo. Mi auguro che possano ispirarsi alle sue regole di continuità e di trasformazione che si oppongono alla distruzione. Mi auguro che i nostri registi, con tutti i limiti umani, possano avere una visione illuminata, matura, seria della sofferenza e delle difficoltà che stiamo attraversando e chepossano presto trovare soluzioni per “smaltire le file” degli eccessi e delle contraddizioni che non portano ad alcuna evoluzione.

Abbiamo ancora poco tempo, il 25 dicembre è alle porte. Il Covidci impedisce tante cose, troppe. Ma con un po’ di impegno sia da parte dei registi che da parte nostra, possiamo ambire ad unpiccolo grande traguardo: quello di riuscire a smaltire la fila di Viale Toscana (simbolo delle file di poveri di tutto il mondo) e di raggiugere, nel Santo giorno della Nascita, l’obiettivo di un tetto, di un pasto caldo attorno ad una tavola e di una mascherina per tutti coloro che in questo momento ne hanno bisogno. Rispettiamo le regole ma, in primis, rispettiamo la dignità. Nella speranza che arrivi presto un lieto fine.

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