Zamberletti, il Covid e gli incompetenti che ci governano
Nei giorni scorsi, a 40 anni dal Terremoto, Irpinia Tv ha rimandato in onda una mia intervista a Giuseppe Zamberletti, realizzata nel novembre 1990, ossia nel decennale dello stesso evento che fece circa tremila morti, distrusse interi paesi delle provincie di Avellino, Salerno e Potenza, e lacerò così tanto in profondità il tessuto sociale di quell’area interna della Campania che ancora oggi se ne scontano gli effetti.
Nel 1990, e già da qualche tempo, l’ex commissario straordinario per le aree terremotate, padre fondatore della moderna Protezione Civile italiana ed ex ministro proprio di questa materia, non aveva più nulla a che fare con il processo di ricostruzione e sviluppo del territorio colpito dal sisma. La nostra intervista fu dichiaratamente un viaggio nella memoria e, insieme, un’analisi critica di ciò che era stato fatto e come, di quanto restava da fare.
Con mia sorpresa – trattandosi di un video-documento usato, abusato e ormai “ingiallito” – ho ricevuto un numero sbalorditivo di telefonate e messaggi di “complimenti”. Chiarisco subito: complimenti non per il sottoscritto, che si era limitato a fare il suo mestiere di giornalista rivolgendo domande, ma per Zamberletti. Apprezzamenti sinceri, considerato che si parla di un politico che non c’è più, e tutti riassumibili in quattro parole: competenza, pragmatismo, autorevolezza, onestà intellettuale.
Due commenti ricorrenti nelle telefonate e nei messaggi. Il primo: l’efficacia della responsabilità unica in capo al commissario straordinario nella gestione dell’emergenza. Un solo interlocutore per le decisioni: se fa bene, ci sono maggiori possibilità di cogliere l’obiettivo, e ne trae beneficio l’immagine del governo e dello Stato; se sbaglia, si sa con certezza chi deve darne conto.
Il secondo: la valenza strategica del fattore tempo in qualsiasi emergenza e la sua stretta dipendenza dalla qualità dei rapporti istituzionali. Se la filiera delle istituzioni di diverso ordine e grado non si inceppa, indifferentemente per cause funzionali o politiche, la velocità degli interventi in emergenza salva vite umane e determina economie importanti per lo Stato, ovvero per la nostra comunità.
Zamberletti aveva costruito su questi due pilastri l’impianto della sua “filosofia” d’intervento per una moderna Protezione Civile. I concetti vengono riassunti in quell’intervista. E con ogni probabilità i ragionamenti del compianto Servitore dello Stato, ancorché raccolti ben 30 anni fa, hanno colpito anche, forse soprattutto, perché ascoltati nel vivo dell’emergenza Covid che stiamo vivendo: nella gran confusione, oseremmo dire, di questa emergenza. La quale – diciamolo pure – andrebbe gestita con rigore perfino maggiore rispetto a quella post-sismica, visto che la “scossa” del virus ha un’onda lunga e intensa che giorno dopo giorno fa nuove vittime, altre “macerie”, aggiunge danni a danni.
Assistiamo, invece, a perenni conflitti istituzionali: tra ministri e ministri, tra governatori e ministri, tra amministratori locali e governatori. Tutti contro tutti, chi con argomenti sostenuti da fatti, chi con incolmabili vuoti di pensiero. Assistiamo a incomprensibili scambi di ruoli: sindaci che si improvvisano infettivologi (la campionatura irpina è varia quanto patetica), infettivologi che abusivamente vestono i panni di governanti locali, regionali, nazionali. Assistiamo a conflitti aspri, talvolta indegni e indecenti, tra gli stessi scienziati della materia virologica: alla faccia di Ippocrate e, probabilmente, alla salute di qualche casa farmaceutica, quando non siano irresponsabili alzate di gomito in omaggio all’incontinenza del proprio narcisismo.
Assistiamo – ahinoi! – ai conflitti, che non appaiono ma si intuiscono, tra il commissario straordinario al Covid, i membri del Comitato tecnico scientifico, il ministro della Salute, quello dell’Istruzione, l’altro ai rapporti con le Regioni che non ne indovina una. E non c’è nessuno, alla fine, che ci faccia capire come stanno le cose, e “in capo a chi è la responsabilità” di incertezze e disfunzioni, e contro chi dobbiamo imprecare se vogliamo – umanamente, comprensibilmente, necessariamente – sfogare un po’ la nostra rabbia se un nostro caro muore perché manca l’ossigeno, se non sappiamo più di chi e di cosa fidarci, e se e se e se, tanti altri se. Ed ecco perché, riascolti quell’ intervista di Zamberletti e finisci con l’incazzarti al pensiero che in un Paese normale sia andata dispersa una lezione così utile e chiara, e ancor di più t’incazzi al pensiero d’una classe dirigente governativa centrale che non è affatto il meglio che potremmo e dovremmo avere; e che magari fa di tutto per mettere il bastone tra le ruote a due governatori – come De Luca e Zaia – che la lezione di Zamberletti devono averla ben compresa e mai dimenticata se stanno gestendo l’emergenza (per ciò che possono) ispirandosi proprio alla filosofia del padre della Protezione Civile italiana.
Attenzione, però: non è finita qui. Assistiamo – anche e non ultimo – ai comportamenti di noi comuni cittadini: come se non avessimo fatto abbastanza – con le nostre movide, i nostri assembramenti, le nostre “smascherate” in ogni dove – per “guadagnarci” una seconda ondata più luttuosa e devastante della prima, mentre medici e infermieri lottano in trincea e si infettano, e le terapie intensive si riempiono, e i decessi aumentano, noi un po’ tutti cosa facciamo? Roba da non credere: pensiamo al cenone di Natale. Suvvia!
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