IL CORSIVO – Trump, Zelensky e il gioco delle “tre carte”

Dal “miracolo” delle “Due sedie” al “giallo” delle “Tre sedie”.
Le “due sedie” sono quelle su cui erano seduti a dialogare Trump e Zelensky, l’uno di fronte all’altro, in un angolo della Basilica di San Pietro, sabato scorso, il giorno delle esequie di Papa Francesco. Ci aveva pensato subito Giorgia Meloni, con un “tantino” d’enfasi, a parlare di “miracolo”. Per quanto possa apparire esagerato assimilare quell’incontro a un prodigio, è fuor di dubbio che si sia trattato di un fatto straordinario: dopo il po’-po’ accaduto nello Studio Ovale tra l’uomo più potente del mondo e il presidente dell’Ucraina, nessuno avrebbe potuto immaginare che Giorgia Meloni sarebbe riuscita nell’impresa di far incontrare Trump e Zelensky, perdippiù così presto e in una circostanza tanto solenne.
Le “tre sedie” sono quelle viste in quell’angolo della Basilica una manciata di secondi prima che iniziasse il colloquio tra i due. La terza sedia era improvvisamente scomparsa, da qui il “giallo”: chi vi si doveva sedere e per quale ragione non è poi accaduto?
Tra sabato e ieri, le risposte al doppio interrogativo si sono sprecate. La più attendibile accredita il nome del Presidente francese Macron quale terzo interlocutore della chiacchierata che già è stata elevata al rango di “storica”. Oscuro, però, resta il motivo della sparizione sia dell’ospite che della sedia.
A questo punto termina la ricostruzione cronachistica e “seria” dei fatti e non ci resta che ridere, invece di piangere, buttandola “napoletanamente” sul faceto. La terza sedia è stata fatta togliere da Zelensky. Il presidente-eroe dell’Ucraina ne ha spiegato il motivo così: “Come e meglio dei napoletani, Trump e Macron sono abilissimi nel gioco delle “tre sedie”, versione geopolitica delle “tre carte”, ovvero dell’imbroglio con trucchi e inganni. Eliminando una sedia, me la sono giocata a scopa la partita con Donald. Questo imbroglia pure da solo, ma almeno ho ridotto il rischio al 50 per cento”.
Qualcuno provi a dire che Vladimir non ragiona.
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