IL CORSIVO – Quell’intervista di Pier Luigi Bersani
Se non lo avete già fatto, abuso della vostra attenzione per consigliarvi la lettura dell’intervista a Pier Luigi Bersani raccolta per il Corriere della Sera di ieri dal bravissimo Antonio Polito.
Comincia dal racconto di una vicenda molto dolorosa, l’aneurisma che nel gennaio di dieci anni fa colpì l’ex leader del Pd. Prendendo spunto dalla drammatica esperienza vissuta, Bersani affronta i grandi temi della vita e soprattutto della morte in una inedita cornice politica: la necessità di passare “dal corteggiamento filosofico” alla “umanizzazione” del momento comune a tutti rappresentato dal trapasso. “L’accompagnamento alla morte – riflette – è l’unico servizio collettivo di cui non si parla se non a ridosso di vicende drammatiche ed estreme. Eppure c’è una quotidianità, un’ordinarietà che rimuoviamo: preferiamo tutti vestirci da filosofi o da teologi, piuttosto che da governanti e riformatori”.
Salto a piè pari il resto per invitarvi di nuovo alla lettura del testo originale, salvo l’ultimo passaggio dell’intervista. Dice Bersani: “Mi hanno invitato a parlare a degli studenti in una università. Alla fine uno di loro mi ha chiesto: ma lei come si definirebbe? Un uomo di sinistra, un progressista, o un riformista? Ho risposto che di sinistra mi sento, progressista mi piace, riformista lo sono stato tutta la vita. Ma se dovessi definirmi oggi direi: sono un comunista italiano”.
Cosa dire? Sarebbe una straordinaria “Grande Bellezza” politica se potessimo uscire dall’indistinto dell’attuale babele di sigle senza storia, simboli indecifrabili e autoreferenzialità vanesie, per fare come Bersani: sono un comunista italiano, un socialista italiano, un socialdemocratico italiano, un democristiano italiano, un liberale italiano, un repubblicano italiano… Definirsi diversamente significa alimentare l’ammuina, effetto plastico del qualunquismo. Se preferite, del “qualunquemente”.
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