Pensieri spettinati

Qualcuno di voi invia ancora lettere o cartoline?
No, non si usa più.
Gli usi cambiano insieme ai costumi, ma il desiderio di trasmettere emozioni attraverso parole e immagini non è cambiato.
Un viaggio alla scoperta di luoghi e di mete sognate non è molto diverso da quello alla scoperta di noi stessi attraverso le relazioni con gli altri.

Perché una volta scrivevamo lettere e cartoline e oggi non lo facciamo più? La risposta immediata è: ” il mezzo di trasmissione digitale ha sostituito tutto”.
Troppo semplice.
Non scriviamo più lettere e non inviamo più cartoline perché non abbiamo più niente da dirci.

A prescindere dal piacere dello scatto fotografico fatto personalmente, pubblicare o inviare tramite messaggio privato un’immagine digitale, ha come scopo primario quello di gratificare innanzitutto noi stessi. Chi ha inventato i social sapeva bene ciò che questa invenzione avrebbe provocato. Abbiamo smesso di confrontarci , se non con noi stessi, siamo a caccia di considerazione compulsiva. Ci hanno munito di strumenti digitali autoreferenziali che ci stanno allontanando sempre di più dal confronti autentico. Siamo solo in gara con noi stessi e in cerca di voti da parte degli altri.

La cartolina, nel suo piccolo, era quel cartoncino lucido, rettangolare, analogico, che andavamo a scegliere dal tabaccaio e che riportava immagini patinate di città, di luoghi di interesse culturale, di paesaggi bucolici che, pur non essendo stati fotografati da noi, potevano raggiungere una meta altissima: quella del pensiero autentico.
Dopo aver viaggiato per giorni o settimane, dopo essere stato lanciato da una busta all’altra ed essere finito nella borsa del postino di quartiere, finalmente quel cartoncino giungeva al destinatario.
In quel piccolo spazio a sinistra sul retro dell’immagine, il nostro messaggio scritto a mano racchiudeva l’essenza del nostro desiderio di dedicare a quel destinatario, in quel luogo, un po’ del nostro tempo, dei nostri pensieri, delle nostre parole più sentite.
Che si trattasse di un amico, di un parente, di una persona amata, la cartolina rappresentava un messaggero potente, un gesto voluto, un’azione fatta di più azioni, compiuta per quella determinata persona.

Ma la cosa più bella era essere il destinatario: tornare a casa, vederla nella buca delle lettere, estrarla e meravigliarsi. Già, perché all’epoca non sapevamo sempre dove fossero le persone; la notizia dei loro viaggi arrivava inaspettatamente ed era come vivere un piccolo sogno che nutriva la nostra immaginazione inondandoci di curiosità.
Il sogno, la curiosità, il mistero.

A proposito di mistero, cosa c’è di più misterioso e intrigante di una lettera ?
Se la cartolina è una “poesia pubblica” che passa anche attraverso occhi e mani di sconosciuti, la lettera sigillata è un fatto totalmente privato.
Non c’è corrispondenza più intrigante, affascinante e profonda di una lettera. Pensiamo ai rapporti epistolari tra personaggi storici, artisti, amanti, donne e uomini di epoche trascorse che tramite una lettera hanno cambiato i loro destini.
Non esiste un modo più intimo, più potente, per donarsi o avvicinarsi all’anima di qualcuno attraverso le nostre parole e i nostri pensieri.
Scrivere una lettera è un atto coraggioso, un gesto nobile per chi la scrive, un segno di grande considerazione per chi la riceve.

Il desiderio di prendere carta e penna, considerato oggi anacronistico, sovversivo, ostentato, rappresenta, a mio parere, una delle esperienze più alte dell’animo umano.
Chi scrive una lettera, anziché un messaggio di qualsivoglia natura digitale, compie una delle azioni più raffinate dal punto di vista dello spessore umano.
La lettera intima, nella quale mettiamo a nudo i nostri sentimenti, le nostre debolezze, i nostri entusiasmi, i nostri cuori, in modo diretto e complesso, oggi può rappresentare una forma di salvezza.
Una salvezza di non facile intuizione, ma dai risultati sorprendenti se si ha il coraggio di provare.

Non vergognamoci di scriverci lettere, riprendiamo a farlo in qualche occasione, proponiamolo ai ragazzi, ai bambini, come esercizio, non solo di scrittura, ma di apertura mentale allo scambio, al confronto, a un dialogo necessario, vitale, di conoscenza reciproca.

Non è vero che la lettera è un mezzo superato.
Se non abbiamo più niente da scriverci in silenzio, in quell’intimità che solo carta e penna sanno regalarci, sarà sempre più difficile avere ancora qualcosa da dirci.

Buona domenica.

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