Ti ho incontrato a Napoli

“Me so’ ‘mbriacato ‘e sole”, “Vierno”, “Aggio perduto ‘o suonno” e (principalmente) “Anema e core” accompagnate dal suono suadente di una chitarra e recitate da una voce particolarmente espressiva, come quella di Roberto Murolo, riuscivano a farci sognare nei lontani anni cinquanta.

Già nel 1949, in un freddo mattino d’autunno, era salpata dal porto di Napoli l’ultima nave che trasportava in America un gruppo di “spose di guerra”.

Queste ragazze, a volte già con in braccio un piccolo figlio, andavano a raggiungere il “boy” che, conosciuto magari in un locale da ballo, aveva loro dichiarato di amarle e volerle sposare .

Erano amori tra popolane (Carmelina, Assuntina, Nannina) e militari anglo-americani, celebrati anche da canzoni come “Dove sta Zazà” e “Tammurriata nera”, od anche “Angelina” e “Io t’ho incontrato a Napoli”, “Rosamunda” e “Lilì Marlene”, che fecero poi diffondere e praticare anche il frenetico boogie woogie.

Si cantava con ottimismo “per vedere solo te, per restare insieme a te, Angelina,io vengo in questa pizzeria” oppure “ci sposeremo a Napoli quando il mondo pace avrà…” Erano i tempi di Franco Ricci (pseudonimo di Salvatore Sebastiano, nato a Napoli nel 1916 e ritornatovi nel 1943 per cantare brani di lirica nonché canzoni napoletane, di cui fu apprezzato interprete)

In quello stesso periodo si affermò altresì Amedeo Pariante, nato nel 1915, che divenne un divo esaltato col suo “filo di voce”.

Ma, a salvaguardare la sopravvivenza della canzone napoletana, rispetto ai nuovi gusti per il “ritmato”, che pure andava avanzando, entrò in scena il cantante che in breve tempo divenne il nuovo divo del pentagramma partenopeo, Roberto Murolo, il quale ne favorì il rilancio nel 1948, senza ricorrere al ritmo.

Egli era figlio del noto poeta Ernesto Murolo ed era nato a Napoli il 23 gennaio 1912.

Da giovanissimo Roberto amava ascoltare musica operistica; da bambino, sino all’età di otto anni, accompagnato nella villa comunale dalla cameriera, anziché mettersi a giocare con i coetanei, preferiva ascoltare musica dinanzi alla “cassa armonica”, su cui il maestro di banda Raffaele Caravaglios dirigeva opere liriche.

Rossini era il suo autore preferito.

Successivamente, all’età di dieci anni, cominciò a frequentare gli spettacoli di Piedigrotta; e, pur apprezzando Louis Armstrong e Bing Crosby, amò sempre gli insegnamenti dei più famosi cantanti di Napoli, Pasquariello, Parisi, Papaccio, inizialmente affascinato da un’esibizione dei Miles Brothers, un complesso americano di quattro giovani, che si avvalevano della sola chitarra, ma, con le mani davanti alla bocca, riuscivano ad imitare gli strumenti così da sembrare un’orchestra.

Sulle orme di Miles Brothers, Murolo, con tre suoi coetanei, fondò il quartetto Mida che prendeva nome dalle iniziali dei suoi componenti (Murolo, Imperatrice, D’Iacova, Arcamone); e, dal 1936 al 1938, si esibirono con canzoni napoletane, tra cui “Maria, Marì”, o altre canzoni in voga, come “Tiripiripin”, o addirittura motivi americani e inglesi come “Dipsy Doole”

Nel 1938, il quartetto Mida venne scritturato da Henry Fleming e cominciò a girare in Italia e poi all’estero (Parigi, Ungheria, Romania, Bulgaria, Turchia, Spagna).

Infine, per la stanchezza di tanti spostamenti, nel maggio del 1946, il quartetto si sciolse.

Assalito da malinconia per non poter più lavorare “in quartetto”, Roberto Murolo, su invito del suo fratello maggiore Massimo, si trasferì a Capri, che fece la sua fortuna.

Colà nel locale “Tragara Club” aperto dal vecchio amico di famiglia Arnaldo Garzia, Roberto fu sollecitato a suonare e cantare; e lui, con la sua chitarra e con la sua voce, chiara ed intima, interpretò vecchi motivi partenopei, riportando un vero trionfo.

Fra i forestieri presenti a Capri c’era il direttore del night romano “Le Pleiadi”, che volle subito scritturare Murolo, il quale, con le sue canzoni, nell’inverno del 1943, incantò i romani.

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