IL CORSIVO – L’Autonomia differenziata e il miracolo dei pani e dei pesci
Sul Corriere della Sera di ieri, tra le pagine 2 e 3, campeggia una grande foto con i volti sorridenti e complici di Roberto Calderoli e Matteo Salvini. I due ministri appaiono seduti l’uno vicinissimo all’altro al banco del Governo. Non è una foto d’archivio, è fresca di giornata. In verità fresca della sera antecedente, martedì 23 gennaio, data storica, come si è affrettato a definirla il governatore del Veneto, Luca Zaia: storica, secondo il leghista, perché l’altra sera il disegno di legge sull’Autonomia, primo firmatario Calderoli, è stato approvato in prima lettura a Palazzo Madama.
Quella foto racconta meglio di qualsiasi resoconto e retroscena cos’è, nella sostanza, l’Autonomia. È l’atto intenzionale di dividere l’Italia; di allargare ulteriormente, forse definitivamente, il divario Nord-Sud. È l’inizio del processo di ulteriore arricchimento del Nord e di impoverimento del Sud. È la vittoria della Lega all’interno della coalizione di centrodestra. È la sconfitta – oggi morale, domani probabilmente anche elettorale – di Fratelli d’Italia e di Forza Italia. È il neo-colonialismo del Nord a danno del Sud. È la “nazione”, così cara a parole a Giorgia Meloni, che si sbriciola sotto i colpi di un egoismo territoriale alimentato dalla presunzione di superiorità della “razza” del Nord. L’Autonomia, per dirla in maniera rude, è una “porcata”, ideata e realizzata da uno specialista in materia: quel Roberto Calderoli che anni fa ebbe il coraggio di definire “porcata”, appunto, una sua legge elettorale fortunatamente non sopravvissuta al recupero della decenza politica.
Attenzione, però: non sarebbe affatto aderente alla realtà addebitare solo al centrodestra la responsabilità di questa deriva democratica. Il centrosinistra ha le sue colpe, il peccato originale è suo (leggi modifica del Titolo V della Costituzione – anno 2001). Con l’aggravante che quell’errore madornale non è stato mai corretto in tutti gli anni dei governi di centrosinistra. Né è stato valutato con la dovuta attenzione dal “Conte I”, quando l’Autonomia differenziata fu inserita nel programma di governo M5S-Lega. E men che meno il pericolo della “svolta” è stato preso in seria considerazione dal centrosinistra con la nascita del governo di centrodestra, anche questo poggiato su un programma che tra gli impegni prioritari contemplava ancora e sempre ciò che più stava a cuore alla Lega. Il Pd in modo particolare, invece di issare subito la bandiera politica anti-Autonomia Calderoli, specie con la segreteria Schlein, ha preferito resuscitare l’anti-Fascismo di maniera invece di concentrarsi e fare campagna, paese per paese, contro il progetto del ministro leghista. Quel Ddl è arrivato in Parlamento nel silenzio assordante del cosiddetto “campo largo”. Ci fosse stato un adeguato movimento di opinione al tempo giusto, oggi staremmo in un diverso clima di attenzione. Diciamolo: negli ultimi due anni, a combattere contro l’Autonomia modello Lega c’è stato solo De Luca, molto spesso sbeffeggiato soprattutto dal suo stesso partito. Di tanto in tanto gli ha dato man forte il governatore della Puglia, Emiliano. Troppo poco.
Ora, di nuovo per iniziativa di De Luca, si vuole organizzare la protesta di piazza. Servirà? Forse sì, anche se soltanto per salvare l’onore. A meno che – probabilità niente affatto remota – a far crollare il castello leghista, magari dopo le europee, non ci penseranno i “Lep” (Livelli essenziali delle prestazioni): dove li prenderà 70-80 miliardi, il governo di centrodestra, per finanziarli? Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, a memoria di un paio di millenni e su di lì, è riuscito soltanto ad un Vero, Grande Leader: ma quello si chiamava Gesù, non Giorgia.
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