IL CORSIVO – Se Giorgia Meloni scivola sull’Autonomia
Sarà il tempo, anche abbastanza breve, a dirci se Giorgia Meloni è soltanto una “furba”, come dice Elly Schlein; ed è già in affanno ma copre bene il disagio, secondo l’analisi spietata e perfino insinuante che ne fa Matteo Renzi quando parla di familismi e di cerchi magici.
Nelle ultime settimane, complice le elezioni europee sempre più vicine, sono venuti al pettine diversi nodi che riguardano il governo, ed altri, decisamente più complicati, stanno per arrivare. Insomma, al di là delle furbate e degli affanni, giudizi fondati o meno che siano, il governo di centrodestra è chiamato al suo primo vero esame: deve dar conto delle cose fatte nei suoi primi quindici mesi di vita; e il suo presidente in particolare, Giorgia Meloni appunto, deve dimostrare la coerenza delle sue azioni rispetto alla linea di rigorosa etica politica che aveva incorniciato il programma elettorale di Fratelli d’Italia e dell’intera coalizione.
Per ora c’è stato soltanto un test impegnativo, ed è il caso Pozzolo: la vicenda di Biella, gravissima e insieme patetica, del deputato pistolero. La Premier ha riconosciuto l’imbarazzo generato dalla questione (“Ci sono irresponsabili tra noi”) ed ha sollecitato la sospensione da FdI del parlamentare scomodo. Oggettivamente poca cosa in rapporto al clamore suscitato dall’episodio e dai primi accertamenti di colpevolezza manifesta del deputato. Se si fosse applicato il “codice” etico e morale in politica predicato dalla leader FdI in campagna elettorale, Pozzolo non sarebbe stato sospeso ma cacciato dal partito e invitato a dimettersi da parlamentare. C’è stata, invece, l’opzione generosa della semplice sospensione, tradizionale via d’uscita che salva capre e cavoli ma non certo la faccia.
Tuttavia non sarà su materie del genere che Giorgia Meloni rischia di non superare – per furbizia o per affanno – il test elettorale delle europee che sempre più si profila come prova di tenuta politica del governo. Lo scoglio vero, almeno in questa fase, è l’Autonomia. Il Ddl Calderoli, fatto proprio da Palazzo Chigi, sta infatti per approdare in Parlamento. Ci vorranno mesi perché diventi legge, ma la posizione della Premier completamente schiacciata sulle tesi della Lega non renderà necessaria l’approvazione del Ddl entro la data delle europee per valutarne gli effetti elettorali. Se le opposizioni, come pare scontato, metteranno diligentemente il tema al centro della campagna elettorale, è prevedibile che parte del Centro Italia e l’intero Sud faranno pagare a Fratelli d’Italia il dazio sufficiente per dare nelle urne all’area progressista un vantaggio netto e chiaro.
Proprio giovedì scorso, nella conferenza stampa di inizio 2024 (che doveva essere di fine 2023), Giorgia Meloni per la prima volta si è esplicitamente espressa a favore della proposta Calderoli, arrivando ad affermare – perfetto copia e incolla del pensiero leghista – di non credere all’effetto sperequativo della riforma con il Nord avvantaggiato sul Sud: “Credo invece – ha detto – che questa riforma possa rappresentare un volano anche per il Mezzogiorno. Non mi stupisce che a schierarsi contro l’Autonomia siano quelli che spendono peggio i fondi comunitari”.
Parole come pietre, quelle della Premier. Pietre, per dirla con Carlo Levi, che costruiscono salde fondamenta, in questo caso nell’alleanza FdI-Lega. Ma che per Fratelli d’Italia possono causare una frana di consensi nel Mezzogiorno già diffusamente in mano al M5S e al PD.
Probabilmente la Premier non ci ha pensato. Oppure ci ha pensato ma è smisuratamente ottimista. È così che si perdono prima le singole battaglie e poi la guerra. Si vedrà.
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