IL CORSIVO – Se assieme al paziente “muore” anche il… medico

Si discute da tempo del “numero chiuso” a Medicina, ma invano: numero chiuso era e tale è rimasto. In questi ultimi mesi ci ha provato il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, a riaprire il caso. Lo ha fatto a modo suo, utilizzando nel linguaggio il paradosso, talvolta il sarcasmo, per andare al cuore del problema: dimostrare, cioè, quanto sia discriminatoria e priva d’un rigoroso criterio di merito la selezione dei futuri medici attraverso test che tutto misurano fuorché l’oggettiva predisposizione degli studenti per quel corso di studi.
Proprio sulle questioni sollevate da De Luca, il Corriere del Mezzogiorno di ieri ha pubblicato un’intervista al Rettore della Federico II, Matteo Lorito, raccolta da Fabrizio Geremicca.
Di particolare interesse è la prima riflessione del Rettore sulle domande del cronista.
Dice: “Capisco bene che una ragazza o un ragazzo possano rimanere delusi se non entrano a Medicina, ma per aprire ad un maggior numero di persone i corsi di laurea occorrono più risorse dallo Stato. Se con gli stessi soldi ci si chiede di formare – dico un numero a caso – non più mille ma cinquemila persone, produrremmo cattivi medici. È un percorso di studi nel quale è determinante costituire piccoli gruppi per frequentare laboratori, esercitazioni, attività a contatto con i pazienti in ospedale in presenza di un tutor”.
Il ragionamento del Magnifico Rettore fila a perfezione. Ed è assolutamente vero che servono molte più risorse finanziarie per formare un maggior numero di bravi medici. Ma tant’è. De Luca, interpretando un sentimento molto diffuso, non punta l’indice contro l’Università (che comunque ha le sue colpe e non sono poche: si pensi alle “baronie” mai morte e seppellite): egli se la prende, giustamente, con tutti i governi centrali d’ogni tempo e colore politico che non hanno saputo o voluto calcolare e programmare l’effettivo fabbisogno di medici e non hanno provveduto, pertanto, a destinare agli atenei le risorse necessarie.
Sicché oggi viviamo la contraddizione paradossale di avere una gravissima carenza di camici bianchi e il numero chiuso a Medicina. Con la conseguenza, altrettanto paradossale, di pagare straordinari da capogiro a decine di migliaia di medici e dì tentare di far fronte all’emergenza, peraltro senza riuscirci, importando professionisti da altri Paesi. Morale: con gli stessi soldi che da anni spendiamo per mettere pezze al problema, avremmo potuto formare, se non tutto il numero di medici che servono, di certo una quota molto vicina all’obiettivo ideale.
Gravissimi errori politici, c’è poco da discutere. Con l’aggravante d’una perseveranza nell’errore decisamente “diabolica”.
In conclusione, parafrasando un saggio antico, mentre la nostra Politica continua a discutere, assieme al paziente stiamo facendo morire anche il medico.

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