IL CORSIVO – Elly Schlein e il “filo” di Arianna Meloni
Non ho mai conosciuto Arianna Meloni, sorella della Premier, vittima in questi giorni d’una incomprensibile tempesta di polemiche per esserle stata formalizzata la nomina a capo della segreteria politica di Fratelli d’Italia, incarico che di fatto ricopre da quando il partito è nato.
Da quel tanto che so, dopo aver letto e riletto le informazioni pubbliche sul suo conto, mi sembra di capire che si tratti d’una persona timida ma assai “tosta”, molto intelligente ed altrettanto preparata, militante politica appassionata e coerente, attivista vecchia maniera, ossia di quelli che frequentano ancora assiduamente le sezioni o i circoli, che ragionano di problemi concreti e strategie, senza comunque disdegnare mai l’arte umile ma indispensabile d’incollare manifesti e distribuire volantini.
Ancora una volta, chi ci è andata giù più duramente nella polemica è stata la segretaria del Pd, Elly Schlein, con la seguente stoccata: “Il nostro non è un partito personale e nemmeno un partito familiare… Il Pd è un partito vero”.
Diciamolo: quanto a finezza di stile, la Schlein non è da Oscar. Tuttavia non è questo il punto. Il punto, parafrasando la parabola d’un certo Gesù, che qualche qualità intellettiva e carismatica sembra l’avesse, la miopia (politica) della segretaria Pd è nel fatto, per stare al familismo, che osserva la pagliuzza nell’occhio di Fratelli d’Italia e non s’accorge della trave presente nell’occhio del Partito Democratico.
Nel caso di Arianna Meloni e di FdI, infatti, si tratta della formalizzazione di un ruolo già consolidato negli anni e per di più squisitamente “partitico”, ovvero che non investe il campo istituzionale di governo della cosa pubblica. In casa Pd, invece, si registrano – scusate il bisticcio – casi di affamato familismo consumati da big del partito che hanno “nominato” parlamentari le proprie mogli (o compagne, fa lo stesso). Non solo. È talmente un partito vero, nell’accezione di concretezza operativa, questo Pd, che nella spartizione dei posti in Rai – Tv servizio pubblico – ci fa ritrovare conduttrici di programmi di prima serata anche consorti di big dem. Sarà pure un caso, ma le “travi” in quell’occhio ci sono e appaiono grandi e solide.
Insomma, un po’ di cautela in più, da parte della Schlein, non farebbe male al Pd. Già la nenia dell’antifascismo elevato a strategia elettorale si sta dimostrando inefficace per la conquista del consenso. Se la segretaria dem vi aggiunge ora il refrain della famiglia, invece di badare alla capacità di “Arianna” di tessere “fili” e feeling importanti nell’elettorato, aumenta a dismisura il rischio flop per un partito che ancora stenta a darsi un minimo d’identità strategica.
Da quel tanto che so, dopo aver letto e riletto le informazioni pubbliche sul suo conto, mi sembra di capire che si tratti d’una persona timida ma assai “tosta”, molto intelligente ed altrettanto preparata, militante politica appassionata e coerente, attivista vecchia maniera, ossia di quelli che frequentano ancora assiduamente le sezioni o i circoli, che ragionano di problemi concreti e strategie, senza comunque disdegnare mai l’arte umile ma indispensabile d’incollare manifesti e distribuire volantini.
Ancora una volta, chi ci è andata giù più duramente nella polemica è stata la segretaria del Pd, Elly Schlein, con la seguente stoccata: “Il nostro non è un partito personale e nemmeno un partito familiare… Il Pd è un partito vero”.
Diciamolo: quanto a finezza di stile, la Schlein non è da Oscar. Tuttavia non è questo il punto. Il punto, parafrasando la parabola d’un certo Gesù, che qualche qualità intellettiva e carismatica sembra l’avesse, la miopia (politica) della segretaria Pd è nel fatto, per stare al familismo, che osserva la pagliuzza nell’occhio di Fratelli d’Italia e non s’accorge della trave presente nell’occhio del Partito Democratico.
Nel caso di Arianna Meloni e di FdI, infatti, si tratta della formalizzazione di un ruolo già consolidato negli anni e per di più squisitamente “partitico”, ovvero che non investe il campo istituzionale di governo della cosa pubblica. In casa Pd, invece, si registrano – scusate il bisticcio – casi di affamato familismo consumati da big del partito che hanno “nominato” parlamentari le proprie mogli (o compagne, fa lo stesso). Non solo. È talmente un partito vero, nell’accezione di concretezza operativa, questo Pd, che nella spartizione dei posti in Rai – Tv servizio pubblico – ci fa ritrovare conduttrici di programmi di prima serata anche consorti di big dem. Sarà pure un caso, ma le “travi” in quell’occhio ci sono e appaiono grandi e solide.
Insomma, un po’ di cautela in più, da parte della Schlein, non farebbe male al Pd. Già la nenia dell’antifascismo elevato a strategia elettorale si sta dimostrando inefficace per la conquista del consenso. Se la segretaria dem vi aggiunge ora il refrain della famiglia, invece di badare alla capacità di “Arianna” di tessere “fili” e feeling importanti nell’elettorato, aumenta a dismisura il rischio flop per un partito che ancora stenta a darsi un minimo d’identità strategica.
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