IL CORSIVO – Draghi, l’Ue e i guitti della politica italiana

Ci permettiamo umilmente di segnalare alla vostra attenzione il commento (pubblicato ieri dal Financial Times) di Mario Draghi sull’impasse in cui si ritrova l’Unione europea e con essa, naturalmente, il nostro Paese.
Qui solo alcuni passaggi illuminanti. A cominciare dal titolo: “L’Europa ha posto con successo i dazi su se stessa”. E dall’incipit: “Le ultime settimane hanno fornito un duro promemoria sulle vulnerabilità dell’Europa”.
“L’Eurozona – scrive Draghi – è cresciuta a malapena alla fine dell’anno scorso, sottolineando la fragilità della ripresa interna. E gli Stati Uniti hanno iniziato a imporre tariffe sui loro principali partner commerciali, con l’Ue prossima nel mirino. Questa prospettiva getta ulteriore incertezza sulla crescita europea data la dipendenza dell’economia dalla domanda estera”.
L’analisi delle cause che hanno condotto all’attuale situazione è, insieme, meticolosa e impietosa. E ampiamente motiva con il consueto rigore scientifico la conclusione cui arriva l’ex presidente della Bce ed ex premier italiano. In estrema sintesi: “Solo un cambiamento radicale può portare l’Ue fuori da questa situazione difficile in cui si trova essenzialmente per due motivi: 1) “La lunga incapacità dell’Ue di affrontare i suoi vincoli di fornitura, in particolare le sue elevate barriere interne e gli ostacoli normativi… 2) “Le normative Ue che hanno ostacolato la crescita delle aziende tecnologiche europee impedendo all’economia di liberare grandi benefici in termini di produttività…”.
Alla luce di questa nuova “lezione” del grande economista che il mondo ci invidia, sale spontanea – per quanto più generalmente riguarda l’Italia – una sola considerazione. Avevamo avuto la fortuna di poter disporre in campo di un fuoriclasse di fama mondiale fino a che, un bel giorno, un manipolo di politici di mestiere o per caso e per di più arroganti – equamente distribuiti tra sinistra, centro, destra e senza bandiera – indossando e buffamente esibendo abusive magliette di metafora calcistica – chi di Maradona, chi di Pelè – hanno deciso che Draghi doveva deporre le armi vincenti della competenza, dell’affidabilità e del prestigio, smontare le tende a Palazzo Chigi, scordarsi del Quirinale e lasciare per sempre la scena all’uso dei guitti della politica politicante.
Complimenti: miglior servigio al Paese non si poteva rendere.

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