IL CORSIVO – Sanità: le liste d’attesa e il richiamo di Mattarella
Nel tradizionale messaggio di fine anno, il Presidente Mattarella ha dedicato alla Sanità – più nel dettaglio al drammatico problema “Liste di attesa” – un’attenzione decisamente molto incisiva.
Il passaggio è stato ripreso e arricchito ieri sul Corsera dall’analisi di Margherita De Bac. La bravissima giornalista spiega perché, dalle prenotazioni ai Lea, la riforma del governo Meloni per tagliare le liste di attesa per esami e cure negli ospedali non decolla.
Di particolare interesse è la parte descritta sotto il titoletto “Medici”, che vi riproponiamo integralmente per la chiosa-iniezione finale di Mila Martinetti.
Eccola: “Il problema delle liste di attesa richiamato da Mattarella è frutto di una serie di storture che mandano in tilt il meccanismo attraverso il quale il cittadino si rivolge al servizio pubblico: la carenza di medici (che soprattutto per motivi economici si dimettono e passano al privato) e infermieri, la disorganizzazione di alcune aziende sanitarie, gli sprechi, la non ottimizzazione delle risorse utilizzate. In questa lista non vanno dimenticate le apparecchiature obsolete. E poi c’è la medicina difensiva. L’Italia spende circa 14 miliardi per rimborsare il costo di visite e esami diagnostici evitabili, prescritti in modo inappropriato, in eccesso. Una pratica legata alla volontà da parte del medico di tutelarsi dalle denunce dei pazienti. Ogni anno sono 350 mila le cause penali intentate contro la categoria, il 97% terminano con assoluzione”.
Se questa è la diagnosi giusta – e lo è oltre ogni ragionevole dubbio – è davvero tanto difficile prescrivere e attuare la terapia senza starsene in eterno a filosofeggiare tra massimi sistemi, oziosità burocratiche e presunta responsabilità medica? Sarebbe (quasi) sufficiente agire sulla spesa “inappropriata” di quei 14 succitati miliardi: utilizzando queste immense risorse per pagare meglio i medici “fuggitivi” verso il privato e depenalizzando la loro presunta “responsabilità”, visto che il 97% delle cause intentate finiscono con l’assoluzione.
Sarebbe, in ogni caso, un gran balzo in avanti per la soluzione d’un problema sicuramente complesso ma non certo impossibile.
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