IL CORSIVO – Il Pd cala nei sondaggi? C’è più di una ragione
Roberto Gressi – prestigiosa firma del Corriere della Sera – nella nota politica di ieri ha analizzato il calo del Pd restituito dagli ultimi sondaggi. Invero si tratta soltanto di un punto percentuale rispetto alle elezioni europee di giugno. Tuttavia – come argutamente suggerisce il giornalista – appare strana questa flessione. Perché si registra in una fase di particolare difficoltà della destra al governo, sia per alcune rumorose scivolate di ministri più vicini proprio alla Premier, sia per le fibrillazioni indotte dalla politica estera (Ucraina, Gaza, le imminenti presidenziali negli Stati Uniti, la Commissione Ue), sia infine per la difficoltà di far quadrare i conti della Legge di Bilancio in via di elaborazione.
Gressi cita tra le probabili cause del calo “i mugugni per l’estate del partito di fatto non militante”, cioè diversamente da quanto aveva annunciato Elly Schlein, che è stata la prima a scomparire dai radar per un paio di mesi. E cita, Gressi, la cattiva gestione del caso Renzi: una vicenda – quella dell’entusiasmo con il quale la segretaria Pd ha accolto il leader di Italia viva nel campo largo – che ha fatto esplodere il malcontento nel M5S ed irritare vertici e base dell’Alleanza Verdi-Sinistra, oltre a dividere lo stesso Partito Democratico in buonisti e intransigenti.
Sono di certo queste le cause principali che in qualche misura spiegano la lieve flessione del Pd nelle intenzioni di voto degli italiani. Non andrebbe però sottostimato un terzo elemento: la radicalità che ormai innerva l’intera narrazione tattica e strategica della linea Schlein. I riferimenti polemici ai cosiddetti cacicchi e capibastone – che nella stragrande maggioranza sono poi gli amministratori locali, ossia sindaci, consiglieri comunali e regionali, presidenti di Province e Regioni – hanno messo in guardia i diretti interessati. I quali, molto pragmaticamente, alle europee e parziali amministrative di giugno, si sono resi protagonisti di una fittissima campagna elettorale, dimostrando alla Schlein di quale potenza di consenso siano dotati. La lettura del successo data dai vertici del Nazareno – ossia che ha vinto un generico voto di opinione, magari moltiplicato per virtù dello spirito santo, a sostegno di un Pd diverso dal passato, è una suggestione del tutto infondata. Perché nella scorsa tornata elettorale non c’è stata alcuna defezione – una che sia una – di cacicchi o capibastone, nelle grandi città come nei piccoli comuni. In altre parole, i voti hanno continuato a portarli loro; senza di loro il Partito Democratico avrebbe subito un’altra sonora sconfitta.
Oggi il calo del Pd suggerito dai sondaggisti dovrebbe consigliare al Nazareno maggiore prudenza. Ma non pare che il significato di certi segnali venga interpretato con attenzione e saggezza dall’area Schlein. Un esempio fresco di giornata arriva dal dibattito sull’Autonomia organizzato ad Avellino dai sostenitori più accaniti della segretaria nazionale. L’europarlamentare Sandro Ruotolo, l’ospite cui sono state affidate le conclusioni dell’evento, a proposito del capobastone numero uno della Campania, ha detto: “Il terzo mandato non è contemplato per noi e agiremo di conseguenza. La politica deve rinnovarsi. Se De Luca desidera ripresentarsi, sono problemi suoi, ma il Partito Democratico non è il partito di De Luca”.
Sarebbe impresa ardua far capire all’ex giornalista d’assalto (anche all’assalto, spesso e volentieri del Pd, ossia del partito che lo ha poi candidato e fatto eleggere parlamentare) che la Politica non si rinnova con i nomi, ma con le idee e le proposte ragionate che devono poi trasformarsi in azioni concrete. E ancora più arduo sarebbe fargli capire che – sì, è vero – il Pd non è il partito di De Luca, nel senso che De Luca non ne è il padrone, e d’altronde non pare ne abbia mai vantato la proprietà. Ma è altrettanto vero che il Pd non è neanche proprietà di Elly Schlein, e men che meno dei supponenti modello Ruotolo, i quali liquidano con volgare sufficienza la storia politica di chi ha militato con coerenza per oltre mezzo secolo nelle trincee della Sinistra – dal Pci di ieri fino al Pd di oggi – e che è stato con dignità ed onore sindaco apprezzatissimo di Salerno, deputato, viceministro, e presidente di Regione rieletto con il 70 per cento dei consensi.
Ha un senso e un valore sì o no – si dovrebbe chiedere all’Onorevole Rinnovatore Ruotolo – il consenso democratico? Non è un problema di De Luca se egli voglia ricandidarsi o meno. Perché De Luca, come ogni persona che abbia una storia politica importante, è per definizione problema del partito in cui milita in particolare e della politica in generale. Possibile che non si riesca a comprendere un concetto tanto elementare? Purtroppo è possibile. Non ci lamentiamo, allora, se la classe dirigente politica del Paese appare e di fatto è sempre più scadente.
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