Il genio incompreso
Ma la vogliamo finire di far finta di non capire che la dittatura dei social, ossia il loro assedio, quell’opportunità subdola di staccarsi dalla realtà per sentirsi tutti talenti, geni, imprenditori, modelle, modelli, cantanti, musicisti, attrici, attori, rapper, innesca una smania compulsiva quotidiana e sta creando dei veri e propri mostri?
Quei mostri inconsapevoli, disagiati, vuoti, illusi e infine violenti, che arrivano addirittura ad uccidere una persona per strada, senza sapere perché.
Non sono né psicologa, né criminologa, ma sono presuntuosamente e sufficientemente indignata per affermare ciò che ho appena scritto. Nonostante non abbia nè laurea, nè cattedra, né competenza tecnica, ho deciso di esprimermi.
Le mie parole sono forti, scomode, infondate, inutili, volatili, retoriche? Non mi interessa.
Io sono certa che viviamo in una dittatura a causa della quale, prima o poi, le menti più deboli non ce la fanno, si ribellano, degenerano.
La dittatura dell’apparire a tutti i costi, della visibilità pubblica offerta a tutti non sta generando altro che vite deviate, anime omologate, carnefici e vittime che si intrecciano tra loro tra sofferenze inconscie, frustrazioni ingestibili, fino ad arrivare a vere e proprie forme di ribellione patologica.
Quel ragazzo italiano di origini africane uscito di casa con quattro coltelli serviti per uccidere una giovane donna che si trovava “nel posto sbagliato al momento sbagliato” rappresenta l’estremo di una condizione umana degenerata, disagiata, frustrata e della mancanza di contatto con la realtà senza precedenti.
Il giovanissimo assassino voleva diventare ricco e famoso e non ce l’ha fatta. Voleva sfondare nella musica, ma l’hanno respinto.
A onor del vero, quanti sognano di diventare qualcuno o qualcosa, non ci riescono e non per questo escono di casa con quattro coltelli pronti a sferzare un attacco mortale sulla prima o sulla seconda persona che incontrano? Quindi…
“Si tratta di un caso di patologia mentale, un pazzo, un malato, un caso isolato, non c’è da mettersi a fare analisi sociologiche, non esageriamo”.
Questo è solo uno dei commenti, tutti uguali, che ho sentito in questi giorni in merito alla tragedia accaduta a Terno d’Isola.
“Uno squilibrato, punto. Non c’è altro da dire”.
Moussa Sangare, 31 anni, in arte Moses, che voleva sfondare nel mondo della musica, ha ucciso Sharon senza sapere perché.
È matto, squilibrato? Sì, non c’è ombra di dubbio che lo sia, aveva pure cercato di accoltellare madre e sorella. Era fissato con i coltelli, gli piaceva il tiro a segno. Ma, innanzitutto, voleva diventare un rapper.
E a questo proposito, a mio modesto avviso, ci sarebbe molto di più da dire.
La gente, l’opinione pubblica, i media, tutti stanno cavalcando la notizia di cronaca nera, anche i politici, ovviamente. (Su questo stendo un velo dignitoso).
Che lo sciagurato assassino trentunenne non sia in uno stato mentale ottimale, che sia squilibrato, nessuno potrà mai metterlo in dubbio.
Ma bisogna anche dare peso a ciò che è emerso sulla sua vita da rapper fallito. Non bisogna sottovalutare il dettaglio e ricordare che esistono eserciti di ragazzi sottoposti alla dittatura da assedio dei social. Impulsi continui, istigazione alla gara compulsiva, al protagonismo, alla ricerca del successo che sembra sempre più alla portata, “grazie” alla finta visibilità che offrono i social. Una droga che pervade, si insinua nelle vene, offuscando ogni altra priorità o opportunità concreta che la vita potrebbe offrire loro. Esperienze di vita, contatti umani semplici, per esempio.
Stanno andando tutti fuori di testa. Sicuramente non al punto di compiere un gesto come quello di uscire di casa per accoltellare qualcuno, o di provarci in casa, un caso simile mi auguro rimanga isolato. Ma ciò non significa che non si stiano “ammalando”.
Non è possibile essere bombardati ogni giorno, ogni ora, ogni secondo, da modelli di vita virtuale perfetta e accattivante, non è umano vedere ragazzi e ragazze che si immortalano su instagram tra post e reels per sfoggiare pseudo attitudini, talenti, azioni, alla ricerca di approvazione e di notorietà. L’ho già scritto in precedenza e oggi lo ribadisco perché sono molto provata da questa vicenda e dagli ultimi dettagli emersi.
È ora di ammetterlo, la dittatura del “tutti possono tutto” è alla luce del sole, ci ha convinti, ci stanno cascando anche gli anziani, ahimè.
Di giorno al sole o di notte al buio, il fuoco dell’attrazione, della deviazione dalla vita vera, anche se in forme diverse, sarà sempre più pronto ad accendersi per bruciare tutto quello che trova nel suo percorso. Il terreno è secco, arido, forse è il caso di annaffiarlo, o sarà sempre troppo tardi.
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