IL CORSIVO – Le canzoni di De Andrè e i nostri giovani

Un’intervista molto interessante e toccante del Corriere della Sera di ieri – Edizione Torino, giornalista Luca Castelli – a Cristiano De André, degnissimo figlio del grande papà Fabrizio scomparso 58enne l’11 gennaio del 1999: è già trascorso un quarto di secolo e sembra ieri.
Abbiamo scelto due domande e due risposte per tutte.
La prima. Il cronista ricorda che Cristiano da 15 anni canta le canzoni del padre, lo fa nei concerti, nelle registrazioni discografiche, nelle apparizioni in Tv. Sicché chiede all’artista: “Tra gli spettatori ci sono anche giovani nati in questi ultimi 25 anni?”. La risposta è: “Molti”.
La seconda domanda, più articolata, segue spontanea: “Come spiega il miracolo? Oggi proprio la musica sembra riflettere un notevole distacco e incomunicabilità tra le generazioni. Ad Alba, al festival Collisioni, l’hanno addirittura chiamata “la guerra dei mondi”. Come è possibile che le canzoni di suo padre, alcune di oltre mezzo secolo fa, raggiungano ragazzi nati in un altro millennio?”.
La risposta: ”Perchè i ragazzi vi trovano risposte a domande essenziali. Quando si fa arte alta, come la faceva lui, si diventa atemporali e si continua ad essere di aiuto a ogni generazione. È qualcosa che risalta molto in questo periodo storico, in cui – ormai da anni – assistiamo a una retromarcia culturale. Capisco perché uno come De Gregori non abbia più voglia di scrivere: non vale la pena, in tv non si parla nemmeno più di cultura”.
Cosa dire? Chiara ed ineccepibile la spiegazione di Cristiano, tutta racchiusa, senza fronzoli e noiosi filosofeggiamenti, nell’espressione “retromarcia culturale”. Che peraltro può essere assunta a paradigma di ciò che accade, ad esempio, nella nostra realtà politica, anche qui ormai da anni. Lasciamo stare le eccezioni – ahinoi sempre più rare – di personalità di sicuro spessore carismatico che sanno ancora raccontare cose genuine, serie, cariche di idealità e insieme di sano pragmatismo, e che si fanno ascoltare e capire anche perché non salgono in cattedra e restano con i piedi ben saldi a terra. Ma per il resto, chi – nella massa di politici vecchi, nuovi e nuovissimi – riesce ad attirare l’attenzione dei meno giovani e soprattutto dei giovanissimi, per dirla con Cristiano De André, fornendo risposte alle domande gridate, appena sussurrate o piuttosto – e siamo a quelle amleticamente esistenziali – custodite nei silenzi assordanti delle loro ansie e paure?
Ha ragione il figlio del grande Fabrizio: nei versi del padre, che raccontano vita vera, anche i giovani “trovano risposte a domande essenziali”, e le utilizzano con spontanea sapienza per farsi luce ed aiutarsi a resistere in questo mondo sempre più crudele.

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