IL CORSIVO – Matteo Salvini, Giorgia Meloni e… Cicerone
Il Vicepremier Matteo Salvini non si accontenta più di contestare e contrastare la Premier Meloni dentro i confini dell’Europa: dove le sue contemporanee simpatie per le destre estreme, da una parte, e per Putin dall’altra (ma Vladimir è comunista o un nazifascista?) dovrebbero consigliare al leader della Lega quanto meno un consulto psico-politico per meglio definire la natura di certi equilibrismi ideologici.
Non soddisfatto, dunque, del solo campo europeo per le sue quotidiane sortite, eccolo allargare gli orizzonti fin negli States – forse anche al fine di fare un dispettuccio a Tajani, suo omologo a Palazzo Chigi – e lanciarsi nell’ennesimo auspicio della vittoria di Trump alle presidenziali americane.
“Con Donald – ha detto ieri Salvini in una intervista video su Italia Report Usa – ci siamo sentiti a telefono qualche settimana fa. Non ho mai nascosto la mia speranza in una vittoria Repubblicana per mille motivi, dai temi della sicurezza e la famiglia alla lotta all’immigrazione clandestina, dal contrasto ai fanatismi alla pace… Di più: io non ho mai nascosto la mia simpatia umana e la mia sintonia culturale per Trump, e quindi sto seguendo una campagna elettorale appassionante…”.
Non poteva mancare, nella stessa intervista, una domanda sulle aspre polemiche del leader leghista contro la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per aver dato il via libera alla fornitura di missili italiani a Kiev. Ma qui Salvini, ligio al furbesco stile di stare – insieme – al governo e all’opposizione, risponde quieto: “Questo è un governo che gli italiani si sono scelti e che andrà avanti per tutto e cinque gli anni”.
Cosa dire? Invero, che Salvini avesse “simpatia umana” e soprattutto “sintonia culturale” con un tipo come Donald Trump, lo ha dimostrato ancora alle scorse europee (parliamo di elezioni, meglio dimenticare il Calcio) scegliendosi come ”centravanti di sfondamento” il generale Roberto Vannacci. De gustibus.
Scontata, naturalmente, seppure per motivi diversi che non sfuggono alle cronache politico-economiche, anche la simpatia umana e sintonia culturale con Putin, poco importa se di mezzo ci sia la sopravvivenza dell’Ucraina oggi e dell’intera Europa domani.
Scontate tante altre cose dei comportamenti politici di Salvini, che alla fine spiegano perché, nel giro di pochi anni, sia riuscito nell’impresa titanica di far crollare i consensi alla Lega dal 34 al 9 per cento: ben 25 punti. Tutto ciò per affermare, insomma, che del leader leghista non c’è assolutamente più niente da capire.
Il problema del centrodestra, dunque, non è più lui. Il problema è Giorgia Meloni, la quale continua a tollerare un alleato che la costringe a fare un passo avanti e due indietro, specie in politica estera, ossia il fronte oggi più delicato per la credibilità dell’Italia, e allo stesso tempo quello che in Europa appare maggiormente a rischio proprio per le posizioni anti-Ue di Putin e di Trump, cioè dei due “simpatici” amici e “affini culturali” dell’ineffabile Vicepremier Salvini.
Il problema è che la Premier Meloni ancora non si decide ad andarsi a rileggere – posto che qualche volta deve averla pur letta – la prima Catalinaria di Cicerone, non per sfizio, ma per dedicarla opportunamente, una tantum, a Salvini: così, giusto per avvisarlo (non sia mai detto “avvertirlo”) che c’è un limite a tutto, e che si può tornare alle urne quanto prima in mancanza della coerenza e della responsabilità istituzionale che la complessità di questa fase politica richiede. Oltre tutto, il ritorno al voto, se le cose non cambiassero, sarebbe comunque inevitabile, considerato che una delle prime cose affermate dalla Premier in Parlamento fu di non essere ricattabile.
E allora, “Giorgia”, che si fa? Gradisce che Le ricordiamo l’incipit, naturalmente in italiano, senza scomodare il latino, anche in omaggio al Suo sincero e apprezzabilissimo patriottismo?
Ok, eccolo: “Fino a quando, Matteo (Pardon, Catilina), abuserai dunque della pazienza nostra?….”.
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