IL CORSIVO – Le morti nei cantieri, il caporalato e… “Chi di dovere”
Satnam Singh, 31 anni, da tre in Italia, numero 230 mila, secondo i calcoli Istat, dei braccianti agricoli rimasti vittime durante il quotidiano servizio offerto per vivere, non per morire.
Satnam lavorava nell’agro pontino. Era un “irregolare”. Il suo datore di lavoro, già sotto inchiesta da cinque anni per caporalato, è accusato di averlo fatto morire dissanguato, lasciandolo davanti casa con il braccio maciullato da un macchinario, invece di soccorrerlo in ospedale per le cure urgenti che lo avrebbero salvato. Un’azione criminale. E ciò per coprire la personale responsabilità di avere l’irregolare Satnam a lavorare per l’elemosina di due euro all’ora.
La cronaca è ormai superata. Tra qualche settimana nessuno si ricorderà più dell’invisibile giovane immigrato, esattamente come sono finiti nell’oblio del tempo gli altri 229mila e novecentonovantanove braccianti agricoli regolari e irregolari, e le altre troppe, insopportabili morti nei cantieri non proprio in linea con le norme di sicurezza opportunamente prescritte.
Sono apprezzabili i gesti e le parole dei leader politici e sindacali che sabato hanno manifestato a Latina per gridare con sincera rabbia il nome di Satnam. E apprezzabilissima, come sempre, è la tempestività con cui il Presidente Mattarella ha voluto rilanciare l’allarme contro “lo sfruttamento del lavoro”, un “fenomeno che con rigore e fermezza va ovunque contrastato, eliminato totalmente e sanzionato, evitando di fornire l’erronea e inaccettabile impressione che venga tollerato ignorandolo”.
Sono concetti alti e nobili che tante volte abbiamo ascoltato e condiviso, auspicando in cuor nostro che si passasse senza ulteriori rinvii dalle intenzioni alle azioni. Ma se continuiamo a contare sempre più vittime nei cantieri, ogni tipo di cantiere; e se – per quanto specificamente riguarda il caporalato, storia di brutale schiavismo che affonda le radici nella notte dei tempi – si rende ancora necessario ripetere le stesse cose di uno, dieci, tantissimi anni fa, la domanda che nasce spontanea è semplicissima ed è la seguente: non funziona la prevenzione, non è sufficiente il grado di repressione, o vanno meglio ripensati e diversamente applicati tutt’e due i profili “terapeutici?
Le parole giuste e forti – a cominciare da quelle del Capo dello Stato – non bastano più. A meno che, parafrasando proprio il Presidente Mattarella, non vogliamo continuare a fornire la fondata impressione che chi di dovere tollera le morti nei cantieri e morti da caporalato ignorandole.
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